Joseph Nye dovrà prendere atto e aggiornare, integrandolo, qualche capitolo del suo celebre saggio Soft Power. Se infatti con questo fortunato binomio il politologo statunitense intendeva la capacità di un Paese di migliorare la propria immagine internazionale, consolidare il proprio potere e diventare punto di riferimento attraverso la cultura, le buone pratiche, i valori e più in generale la politica, un nuovo Paese sembra essersi imposto all’attenzione della comunità internazionale.

E se per sua stessa natura il soft power è riconducibile a un gruppo dirigente che governa una nazione in un dato momento storico e la trasforma nella percezione internazionale, è altrettanto evidente che, nel nuovo millennio, tutto questo sia riconducibile a una leadership che guidi e orienti queste trasformazioni.
Questo processo è quel che è avvenuto in un piccolo paese dell’America latina, l’Uruguay, una città-stato di poco più di tre milioni di abitanti, stretta tra due giganti geografici e politici quali il Brasile e l’Argentina. L’ascesa politica dell’Uruguay, in realtà, non nasce dal caso: si tratta di un processo cominciato molti anni fa, interpretato da governi responsabili e autorevoli guidati da una coalizione progressista, il Frente Amplio. Tuttavia,sono bastati gli ultimi quattro anni per far gridare al miracolo, alla svolta di cui ormai parlano tutti coloro che si interessano di politica - e non necessariamente di politica latinoamericana - fino ai paginoni su The Economist che nella nostra visione provinciale europea sanciscono il “Chi è Chi” della politica di serie A.
Ci son voluti, insomma, i pensieri, le parole e la politica di José “Pepe” Mujica, il leader “riluttante”, il presidente uscente dell’Uruguay che domenica primo marzo, lascerà il governo al suo successore, Tabaré Vazquez, e che nelle prossime ore girerà un video sulla sua vita con il cineasta Emir Kusturica.
È grazie a questo lungo processo e agli ultimi quattro anni se l’Uruguay potrà ambire, come sembra probabile, alla candidatura a membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per il periodo 2015/2016. È grazie a questo lungo processo e agli ultimi quattro anni se il proprio Ministro per gli affari esteri, Luis Almagro, sia per ora l’unico candidato alla Segreteria generale dell’Organizzazione degli stati americani, il solo organismo emisferico della regione tanto importante quanto in crisi di identità e di mission dopo il disinvestimento politico che diversi Paesi del Sud America hanno messo in atto anche attraverso la creazione di organismi regionali latinoamericani (quindi senza il Canada e gli Stati Uniti).
Leadership e buon Governo. Cominciamo dalla prima. Non è comune, specie nel tempo presente, la storia di un Presidente che all’estero sia percepito certo come autorevole, innovativo in materia di diritti e di libertà e responsabile in economia e finanza, ma anche e soprattutto come capace di riconciliare rappresentanza e rappresentati, cittadini ed elettori con organismi intermedi e di attrarre le giovani generazioni verso l’esercizio della politica.
In tutto questo processo di leadership quasi inconsapevole c’è molto della storia e della vita vissuta del Presidente Mujica. L’estrema coerenza tra vita privata e impegno politico ne hanno fatto il beniamino di quanti vedono nella sobrietà e nel rigore la cifra di una nuova politica che sia realmente più vicina alla sensibilità e al vissuto dell’elettorato in tempi di crisi economica. “Vivi come pensi altrimenti finirai per pensare come vivi”: è questo in estrema sintesi il messaggio rivolto ai giovani e che riflette il profilo antropologico prima ancora che politico dell’uomo Mujica.
È sulle libertà individuali, in primo luogo, che l’Uruguay ha compiuto una rivoluzione epocale a livello di buon Governo. Alcuni titoli. La depenalizzazione dell’aborto in un continente dove si praticano illegalmente tre volte gli aborti che si fanno in Europa, il 95% in condizioni di "rischio" secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. “Perché nessun cittadino sia lasciato solo da una politica cinica e ipocrita che si nasconde e cerca di nascondere la realtà”, dice Mijica.
Poi, il matrimonio tra persone dello stesso sesso - che non è una novità in latinoamerica visto che è legale anche in Argentina, a Cuba e nel Distretto Federale, Messico - e l’impulso per le politiche educative, sanitarie e lavorative per favorire l’inclusione sociale delle persone LGBT.
Infine, la sperimentazione che riguarda la legalizzazione della marijuana per depotenziare davvero la criminalità organizzata e le mafie transnazionali che sul traffico della droga verso USA e Europa vivono e prosperano. Una legge molto complessa in cui sono previsti controlli sia nella somministrazione che nell’uso delle sostanze e dalla quale si attendono risultati che varrebbe la pena sperimentare anche in quegli altri Paesi della regione piegati dal narcotraffico e dalla criminalità organizzata transnazionale ad esso collegata.
Sbaglierebbe, tuttavia, chi pensasse che l’Uruguay di Mujica sia soltanto operazioni di maquillage civico a costo zero. Negli ultimi anni, l’economia è cresciuta ad una media del 4% con picchi dell’8,4% e del 7,3% nel biennio 2010-2011 e grazie ai governi del Frente Amplio di Tabaré Vazquez prima e Pepe Mujica poi il Pil pro capite del paese si è convertito nel più alto dell’America latina. Dal punto di vista sociale, la ricchezza è triplicata mentre la povertà – male endemico del continente – è passata dal 40% al 10,5% con una riduzione che significa, in termini assoluti, aver cambiato la vita a circa 1 milione di persone.
Infine, visto che siamo ormai vicini all’apertura dell’Expo 2015 di Milano, vale la pena sottolineare che per la prima volta nella sua storia, l’Uruguay avrà un proprio padiglione Paese. Sarà l’occasione per conoscere cosa è diventato l’Uruguay, i suoi progressi sui temi dello sviluppo e dell’energia sostenibile oltre che le sue eccellenze alimentari. Anche questo, manco a dirlo, è soft power.