Gli incidenti avvenuti nel Nord del Kosovo nella tarda domenica del 31 luglio e le successive bellicose dichiarazioni russo-serbe hanno messo improvvisamente in allarme le cancellerie e i media europei, alimentando il timore di un possibile nuovo conflitto nel cuore d’Europa. Ma in realtà si tratta solo dell’ultima puntata di una controversia che risale a oltre dieci anni fa e che già nel 2021 aveva subito una rischiosa accelerazione, con tanto di carri armati serbi al confine e caccia MiG in cielo. Qual è dunque il cuore di questa disputa simbolica legata alle targhe automobilistiche e cosa c’è ora di differente rispetto a un anno fa? In sostanza, la miccia consiste nell’avvenuta scadenza di una serie di compromessi, ripetutamente negoziati dall’Unione Europea (UE), sulla discussa ammissibilità in Kosovo di targhe d’immatricolazione che non riportino la sigla nazionale della Repubblica, che ha dichiarato la propria indipendenza dalla Serbia nel 2008. Le targhe nazionali del Kosovo sono entrate in vigore due anni più tardi e a partire dal 2012 avrebbero dovuto essere le sole ammesse per i veicoli del territorio kosovaro. In pratica, ciò significava che le auto serbe che avessero voluto entrare in Kosovo avrebbero dovuto sostituire alla frontiera la propria targa con una temporanea kosovara. Ma con la complicazione aggiuntiva e delicata della questione che tale situazione riguardasse anche i kosovari di etnia serba rimasti, dopo la guerra conclusasi nel 1999, ad abitare nel Nord del Kosovo.

Se vista dall’esterno tale disquisizione può apparire di poca importanza, si tratta invece di una “linea rossa” controversa e vissuta come invalicabile da parte dei nazionalisti serbi, sia nella comunità serbo-kosovara che a Belgrado, che ritengono che cedere su questo punto costituirebbe indirettamente ma simbolicamente un riconoscimento della sovranità del Kosovo. Mentre notoriamente la Serbia, insieme a circa una metà dei Paesi membri dell’ONU e con l’appoggio strategico della Russia, non riconosce l’indipendenza della propria ex regione autonoma. A questo proposito, è importante segnalare come questa procedura macchinosa sia effettivamente basata su un principio di reciprocità: fin dalla nascita delle targhe della Repubblica del Kosovo, infatti, la Serbia obbliga i veicoli kosovari che vogliano passare il confine a montare una targa serba temporanea. L’Unione Europea, che sul Kosovo ha una posizione ambigua (anche per il fatto che tra chi non riconosce il Kosovo ci siano, per motivi differenti, anche cinque dei suoi membri: Spagna, Grecia, Cipro, Slovacchia e Romania), aveva a quel tempo spinto le parti a un compromesso che consentisse di deflettere la tensione. Fino a giungere nel 2016 alla firma di un accordo temporaneo di libera circolazione tra i due Paesi. Ma di fatto si stava soltanto rinviando la questione.

Alla scadenza dell’accordo europeo, nel settembre del 2021, la controversia è infatti scoppiata nuovamente e questa volta portando all’incendio di un ufficio di registrazione, a blocchi ai passaggi di frontiera da parte dei serbi e a un dispiegamento di armi pesanti al confine. Dopo tredici giorni di tensione, la mediazione di Bruxelles porta a un nuovo accordo temporaneo, che consiste nell’applicazione di adesivi provvisori, al posto della precedente ipotesi di cambio delle targhe. E all’avvio di un tavolo di negoziazione che avrebbe dovuto in sei mesi portare a una soluzione definitiva della situazione. I sei mesi sono scaduti ad aprile del 2022, però, senza alcun progresso. Quella che Bruxelles considerava forse una mera negoziazione tecnica, si è anzi trasformata in un terreno di battaglia profondamente simbolico e politico. Davanti a due schieramenti arroccati sulle proprie posizioni, sono apparsi del tutto inutili i cavilli burocratici proposti. Come per esempio quello tentato anche in passato di lasciare la libertà ai serbi di non applicare la targa ufficiale riportante la sigla “RKS” (Repubblica del Kosovo) bensì il più ambiguo “KS”: Kosovo, ma senza Repubblica, dunque lasciando aperta l’interpretazione che possa essere inteso come il nome della passata regione serba. Per la leadership di Belgrado, che continua a considerare il Kosovo come parte del proprio territorio, anche questo non è sufficiente, perché è semplicemente inaccettabile qualunque passo, anche vago, che possa essere percepito andare nella direzione di un riconoscimento.

Il 30 giugno 2022 il governo kosovaro, guidato da Albin Kurti, ha infine imposto un’accelerazione unilaterale: dichiarando che le auto con targhe serbe relative a città kosovare (dunque appartenenti ai serbo-kosovari) avrebbero dovuto essere registrate con nuove targhe RKS entro il 30 settembre 2022. Le auto provenienti dalla Serbia avrebbero potuto continuare ad applicare gli adesivi fino a fine ottobre, ma con la provocatoria aggiunta che i cittadini serbi non avrebbero più potuto passare la frontiera con la carta d’identità rilasciata da Belgrado, che dovrà essere sostituita al confine con un modulo temporaneo kosovaro. Le proteste e i nuovi blocchi avvenuti domenica scorsa si inseriscono proprio in questo contesto: lunedì 1° agosto era infatti la data di avvio della procedura di registrazione delle auto dei serbi delle province del Nord del Kosovo con le targhe ufficiali kosovare e della fine della validità dei documenti serbi. Nuovi blocchi stradali sono dunque stati allestiti dai serbi del Kosovo e sarebbero stati sparati colpi, mentre le sirene suonavano e la forza internazionale KFOR (Kosovo Force), a guida NATO e nella quale l’Italia svolge un ruolo cruciale, rafforzava gli schieramenti di truppe nell’area delle proteste. Il presidente serbo, Aleksandar Vučić, dal ministero della Difesa dove seguiva l’evolversi della situazione, ha poi rilasciato dichiarazioni molto dure, accusando i kosovari di persecuzioni nei confronti dei serbi del Kosovo e aggiungendo che queste non saranno più tollerate. Nonostante l’ulteriore e iperbolica affermazione di Vučić sul fatto che questa sarebbe la situazione «più difficile e complessa» nella quale la Serbia si sarebbe mai trovata, fino a questo punto la situazione appare in realtà poco differente rispetto a quelle precedenti, che si sono sempre risolte con un nuovo temporaneo compromesso. E difatti anche stavolta, poche ore dopo gli scontri, il premier kosovaro ha annunciato un nuovo rinvio di un mese per l’implementazione del piano di registrazione delle targhe.

Ciò che viene percepito da molti soggetti come differente è, però, il contesto internazionale nel quale ci troviamo, soprattutto per quanto riguarda l’interesse russo sulla faccenda. Anche durante gli incidenti del settembre 2021 l’ambasciatore russo a Belgrado si era esposto a sostegno della Serbia, anche visitando personalmente il confine dove erano stati schierati truppe e carri. Ma le tempestive dichiarazioni rilasciate domenica scorsa dalla nota portavoce del ministro degli Esteri russo, Maria Zakharova, portavano con sé un peso differente, alla luce della guerra in corso in Ucraina. Russia e Unione Europea stanno infatti portando avanti un conflitto reciproco indiretto e multilivello, che rischia di contribuire ad alimentare le tensioni in un’area che ha già sufficienti complicazioni autoctone. Nello specifico, la Russia sta notoriamente rispondendo alle sanzioni europee con i ricatti energetici e le presunte ingerenze sulla politica interna di diversi Paesi, ma secondo alcuni anche alimentando il fuoco dei conflitti ai confini dell’Unione. Così, se da un lato l’UE ha accelerato le procedure di ammissione non solo per l’Ucraina, ma anche per Moldavia e Montenegro, dall’altro si è parlato più volte nei mesi scorsi della possibilità che la Russia possa sfruttare tensioni preesistenti per aprire un nuovo fronte a ridosso dell’Unione Europea e della NATO: per esempio in Bosnia, in Transnistria o altrove. Il timore è che proprio questa disfida sulle targhe kosovare, nel mese che manca alla nuova scadenza, se male gestita dalle diverse parti in causa possa finire per rendere reale un tale drammatico scenario.

Immagine: Mercato di strada a Priština, Kosovo (5 giugno 2022). Crediti: Robson90 / Shutterstock.com

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