Il 24 giugno 2022 è rapidamente divenuta una data simbolo nella storia del processo di depenalizzazione dell’aborto. In quel giorno, infatti, la Corte suprema degli Stati Uniti, a maggioranza conservatrice e antiabortista, ha revocato la Roe v. Wade, definendola «egregiously wrong» (‘straordinariamente sbagliata’) e priva di ogni fondamento costituzionale. Promulgata nel 1973, la sentenza rendeva l’aborto legale sostenendo che proseguire o meno la gravidanza fosse una scelta delle donne, connessa al diritto alla privacy (inteso come capacità di autodeterminarsi e di prendere decisioni in merito alla propria esistenza) e garantito dal XIV emendamento. Al tempo stesso, la Roe ammetteva l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) in condizioni ben precise e stringenti – non oltre i tre mesi di gestazione e solo se eseguita da un medico – e non accoglieva molte delle rivendicazioni dei movimenti femministi e pro-choice che, sin dagli anni Sessanta, si erano battuti perché l’aborto fosse «free, legal and safe». Ad esempio, “bilanciava” la protezione della scelta delle donne con il diritto degli Stati a proteggere la salute della gestante e del feto – inaugurando una tendenza poi recepita da alcuni Paesi europei. Basti pensare alla legge 194 del 1978 che, riecheggiando questo bilanciamento, regola l’IVG in Italia, ma al tempo stesso si propone di «tutela[re] la vita umana dal suo inizio» (art. 1). Ciononostante, e per 49 anni, la Roe è stata il simbolo di un profondo miglioramento nelle vite delle statunitensi e non solo. È evidente, infatti, la sua influenza sulla prima ondata del processo di depenalizzazione che, a partire dal 1973, si diffuse a macchia d’olio nel blocco occidentale: nel 1974 in Svezia e Austria; nel 1975 in Francia; nel 1976 nella Repubblica Federale Tedesca; nel 1978 in Italia e in Finlandia.

In questo momento la situazione normativa è in evoluzione, ma è già chiaro che gli effetti del pronunciamento della Corte suprema saranno gravissimi e, potenzialmente, riguarderanno milioni di persone. Secondo il monitoraggio condotto dal Guttmacher Institute, almeno 5 Stati hanno già proibito quasi del tutto l’IVG (ad esempio, l’Oklahoma e il Missouri – che contano circa 2,5 milioni di donne in età riproduttiva); altri 5 lo ammettono solo entro le prime 6 settimane di gestazione (è il caso del Texas e dell’Ohio, nei quali vivono 9,5 milioni di donne in età fertile). E ancora, in altri 16 (come in Louisiana e in Arizona) l’accesso all’IVG sarà reso pressoché impossibile dall’inasprimento delle restrizioni già presenti. Infine, 11 Stati (e fra questi la California e l’Oregon) hanno mantenuto o rafforzato la depenalizzazione dell’IVG – proponendosi così come rifugio per quante, non potendo interrompere una gravidanza indesiderata nel luogo di residenza, saranno costrette a chiedere una sorta di “asilo riproduttivo”. In questo contesto, non stupisce che migliaia di persone abbiano raccolto l’invito della rete femminista Women’s March e di altri gruppi pro-choice e siano scese nelle piazze e nelle strade di New York, Los Angeles, Washington dando inizio ad una «Summer of Rage» che, rievocando la «Summer of Love» del 1967, contesta ogni restrizione all’IVG e difende i diritti riproduttivi.

La rilevanza internazionale della Roe ha fatto sì che sconcerto e indignazione si diffondessero rapidamente ben oltre gli Stati Uniti, spingendo media e leader di diverso orientamento politico a definire la revoca come un «passo indietro» e a promettere che «non torneremo indietro». Dichiarazioni di questo tenore sono state rilasciate, fra gli altri, dal conservatore Boris Johnson, primo ministro del Regno Unito, in cui l’aborto è ancora iscritto nel codice penale; o da Roberto Speranza, ministro della Salute di un Paese in cui le ambiguità della 194 e l’abuso dell’obiezione di coscienza rendono sempre più difficile l’accesso all’IVG.

Eppure, la storia degli ultimi quarant’anni mostra chiaramente come il processo di depenalizzazione avesse già compiuto non pochi “passi indietro” e, in questo senso, il caso della Roe è esemplare. A partire dagli anni Ottanta, infatti, la sentenza è stata al centro dell’agenda di influenti e attivissimi movimenti antiabortisti in cui sono confluiti fondamentalisti cristiani (evangelici in particolare), militanti e leader del New Right – protagonisti di un contrattacco feroce, multiforme e costante. Sul piano culturale, il loro principale successo è stato l’inquinamento del dibattito pubblico tramite la trasformazione retorica dell’embrione/feto in individuo dotato di sentimenti e diritti, a cui ha fatto da corollario la rappresentazione dell’aborto come “omicidio”, eseguito da “assassini” senza scrupoli (ossia, le donne che richiedevano l’IVG e il personale che le eseguiva). Al tempo stesso, la Roe è stata attaccata con una raffica incessante di iniziative parlamentari e giuridiche, mentre le cliniche dove si praticava l’IVG, i medici che l’eseguivano e le donne che la richiedevano sono stati oggetto di molestie e minacce di morte, rapimenti, sparatorie e incendi.

È difficile sottovalutare quanto a determinare questa situazione, sin dai suoi esordi, abbiano contribuito la retorica e le politiche del presidente Ronald Reagan – «pro-life hero» del movimento antiabortista –  la cui azione è stata segnata dalla definizione dell’aborto legale come «a great moral evil and assault on the sacredness of life» (‘un grande male e un attacco alla sacralità della vita’; 1982) e dal varo della Mexico City policy (1984-85), volta a bloccare o rendere estremamente difficile l’erogazione di fondi federali alle organizzazioni che fornivano consulenza e assistenza per l’accesso all’IVG. Lo stato del processo di depenalizzazione negli Stati Uniti si rispecchia nitidamente nelle vicissitudini di questa policy – di volta in volta abrogata da ogni presidente democratico succeduto a Reagan (Clinton nel 1993, Obama nel 2009, Biden nel 2021) e confermata o rinforzata da ogni omologo repubblicano (G.H.W. BushG.W. Bush nel 2001, Trump nel 2017).

È innegabile che l’argine più solido a questo contrattacco, e alle incertezze che hanno segnato il Partito democratico, sia stata l’azione e la riflessione dei movimenti femministi. La risignificazione antiabortista dell’IVG è stata sfidata da alcuni settori del black feminism, e soprattutto dal collettivo SisterSong che, guidato da Loretta Ross, ha rinnovato e ampliato il campo delle rivendicazioni. Partendo dalla propria esperienza, il gruppo ha sottolineato come per molte la scelta di proseguire o meno la gravidanza non sia mai stata libera, ma, piuttosto, gravata dalla coercizione, dalla discriminazione razziale, dalla condizione di classe. L’aborto è stato così inserito nella cornice concettuale più ampia della giustizia riproduttiva – crasi originale fra “diritti riproduttivi” e “giustizia sociale” – e associato alla rivendicazione del diritto ai mezzi intellettuali e materiali per poter essere genitori. Altrettanto innovativa è stata la reinvenzione e l’adattamento ai nostri tempi delle pratiche e dei metodi di lotta. Pensiamo ai viaggi per abortire che, presentati da larga parte della stampa come una novità, hanno in realtà una lunga storia, iniziata da gruppi come l’Association to Repeal Abortion Laws in California o la Clergy Consultation Service on Abortion in Illinois (d’ispirazione religiosa) che, sin dalla metà degli anni Sessanta, aiutarono le statunitensi a raggiungere le cliniche private messicane o canadesi per abortire in sicurezza. Dopo una fase di ridimensionamento, determinata perlopiù dalla diffusione della pillola abortiva RU 486 (che è facilmente spedita per posta), i viaggi sono tornati ad essere uno strumento di resistenza per reti come la Fund Texas Choice o la Midwest Access Coalition che si oppongono alle gravi restrizioni all’aborto introdotte in vari Stati – già prima della revoca della Roe.

Sono proprio i viaggi a fornire un segnale inequivocabile di come, pur a fronte di importanti progressi in Irlanda (nel 2018) o in Argentina (2020), il processo di depenalizzazione dell’aborto sia stato violentemente ostacolato e messo in questione. Se fra gli anni Sessanta e Settanta la pratica si diffuse dagli Stati Uniti verso l’Europa, ai giorni nostri sembra compiere il percorso inverso e le associazioni statunitensi traggono ispirazione dai network europei come Abortion Without Borders che, dal 2019, organizza viaggi per le polacche colpite dall’interdizione quasi totale dell’IVG introdotta nello stesso anno. Fra le rifugiate dei diritti riproduttivi non vi sono “solo” le polacche, le texane o le donne del Midwest: accanto a loro vi sono le maltesi, un numero ancora alto di irlandesi, tedesche, italiane e francesi. Donne e persone provenienti da culture e Paesi diversi ma accomunate dall’aver sperimentato sui propri corpi quanto la revoca della Roe v. Wade sia la tappa più emblematica del contrattacco al processo di depenalizzazione che negli ultimi quarant’anni si è dispiegato fra gli Stati Uniti e l’Europa.

Bibliografia e webgrafia per approfondire

- Il sito del Guttmacher Institute, con informazioni e approfondimenti costanti e in open access: https://www.guttmacher.org/

- Una recentissima inchiesta sullo stato d’applicazione della legge 194/1978:

Chiara Lalli, Sonia Montegiove, Mai Dati. Dati aperti (sulla 194). Perché sono nostri e perché ci servono per scegliere, Roma, Fandango libri, 2022.

- Un classico sulla storia del processo di depenalizzazione negli Stati Uniti (con una nuova prefazione):

Leslie J. Reagan, When Abortion Was a Crime. Women, Medicine, and Law in the United States, 1867-1973, Berkeley, University of California Press, 2022.

- Per un primo approccio alla nozione di giustizia riproduttiva e alla sua storia:

Loretta Ross, Rickie Solinger, Reproductive Justice. An Introduction, Berkeley, University of California Press, 2017.

- Uno sguardo d’insieme alla storia del processo di depenalizzazione in Europa (in open access e anche in inglese):
Azzurra Tafuro, Péché, crime, droit: une histoire de l’avortement en Europe, «Encyclopédie d’histoire numérique de l’Europe [en ligne]», 2021, https://ehne.fr/fr/node/21497.

Immagine: Manifestanti pro-choice riuniti fuori dalla Corte suprema per protestare contro il ribaltamento della sentenza Roe vs. wade, Washington, DC, Stati Uniti (24 giugno 2022). Crediti: Eli Wilson / Shutterstock.com

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