16 settembre 2021

Tra Israele ed Egitto la via della normalizzazione in Medio Oriente

 

Lunedì 13 settembre il premier israeliano Naftali Bennett è stato ricevuto a Sharm el-Sheikh dal presidente egiziano Abd al-Fattah al-Sisi, in quello che è stato il primo incontro tra i vertici dei due Paesi da dieci anni a questa parte. Il summit tra i due leader è stato caratterizzato da una forte carica simbolica, oltre che da circostanze temporali del tutto particolari. Bennett, infatti, ha incontrato il capo dello Stato egiziano a un anno esatto dalla firma dei cosiddetti Accordi di Abramo – patrocinati dagli Stati Uniti - con cui il 15 settembre 2020 Israele ha normalizzato le relazioni diplomatiche con Emirati Arabi Uniti e Bahrain (seguiti a stretto giro da Sudan e Marocco). L’incontro tra il premier israeliano e il presidente egiziano si inserisce in questo solco diplomatico, in cui la normalizzazione dei rapporti tra Israele e i vicini arabi sembra procedere a vele spiegate, nonostante vecchi e nuovi focolai di instabilità a livello regionale.

Bennett ha ringraziato al-Sisi per «l’importante ruolo dell’Egitto nella regione», osservando che dopo più di quattro decenni, l’accordo di pace tra Israele ed Egitto «continua a fungere da pietra angolare per la sicurezza e la stabilità del Medio Oriente». Il premier dello Stato ebraico, capo del primo governo senza Benjamin Netanyahu dopo quindici anni, ha anche sottolineato il «ruolo significativo» che l’Egitto svolge nel «mantenere la stabilità della sicurezza nella Striscia di Gaza», teatro dell’ennesima escalation di violenza a maggio di quest’anno. L’Egitto, sottolinea il quotidiano The Times of Israel, negli ultimi mesi ha cercato di svolgere pubblicamente il ruolo di mediatore responsabile ed efficace tra Israele e Hamas, il movimento-milizia palestinese di ispirazione islamica che controlla l’enclave costiera. Il Cairo, infatti, ha avuto un ruolo centrale nella negoziazione del cessate il fuoco che ha posto fine alle ostilità di maggio tra Israele e Gaza. Al centro della visita anche altri aspetti delle relazioni bilaterali, come l’approfondimento degli scambi commerciali e la cooperazione energetica.

All’incontro tra Al Sisi e Bennett erano presenti anche il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, il capo dell’intelligence, Abbas Kamel, il capo del consiglio di Sicurezza nazionale israeliano, Eyal Holata, e l’ambasciatrice d’Israele al Cairo, Shimrit Meir. A rimarcare la portata storica dell’incontro, i due leader si sono fatti immortalare dalla stampa seduti uno accanto all’altro con alle spalle le bandiere di Israele ed Egitto. Una simbologia non da poco, considerato che il Paese delle piramidi è stato uno dei protagonisti – se non l’attore principale – nelle guerre combattute tra Stati arabi e Israele nel 1948, nel 1967 e nel 1973. L’Egitto è stato la patria di Gamal Abdel Nasser, che forte del sostegno sovietico sognava negli anni Cinquanta il panarabismo in salsa socialista, in cui Israele rappresentava necessariamente il corpo estraneo da estirpare. Oggi, però, i tempi sono molto cambiati. La guerra fredda è finita, il centro del nuovo scontro geopolitico globale – quello tra Cina e USA – si è spostato nel Pacifico. Il Medio Oriente – così come l’Europa – si ritrova alla periferia di questa mutata configurazione e gli attori regionali cercano di plasmare un equilibrio locale lontano dalle faglie ideologiche del passato.

Ciononostante, quello che accade a Washington continua ad avere ripercussioni sul Medio Oriente e sul rapporto tra Israele e vicini arabi. Come sottolinea un articolo di Foreign Policy, la spinta alla normalizzazione data dagli Accordi di Abramo rischia di impantanarsi in una diatriba fra i principali partiti americani. L’attuale presidente, Joe Biden, non ha organizzato eventi o celebrazioni in occasione dell’anniversario degli accordi, sponsorizzati e realizzati sotto l’amministrazione del predecessore repubblicano Donald Trump. I conservatori USA hanno colto la palla al balzo per accusare Biden di essere “troppo tiepido” nel sostenere nuove intese di normalizzazione in Medio Oriente sulla scia di quelle pattuite un anno fa. Vale la pena sottolineare, però, che l’amministrazione Biden è alle prese con dossier impegnativi come il ritiro dall’Afghanistan, l’aumento di casi di Covid-19 catalizzato dalla variante Delta e i danni causati dagli uragani sulla costa orientale degli Stati Uniti. Sia il presidente che il segretario di Stato USA, Antony Blinken, hanno ribadito in ogni occasione possibile il loro sostegno a eventuali nuovi accordi tra Israele e Paesi dell’area, lanciando anche blandi appelli alla ripresa del dialogo tra Stato ebraico e palestinesi.

Quel che sembra certo e dimostrato anche dalla visita di Bennett in Egitto – seguita a quella del ministro degli Esteri Yair Lapid negli Emirati – è che il treno della normalizzazione non pare destinato a fermarsi. Un’analisi della rivista americana Foreign Affairs evidenzia che il nuovo corso delle relazioni tra Israele e Paesi arabi ha superato anche lo stress test dell’ultima escalation a Gaza. Durante le violenze di maggio hanno perso la vita 256 palestinesi e 13 israeliani, 73 delle vittime erano bambini. Ciononostante, da Abu Dhabi, Manama e dal Cairo sono arrivati appelli ad abbassare il livello di violenza, ma nessuna netta presa di posizione a favore dei palestinesi. Se si considera che nel 1974 la Lega degli Stati Arabi ha riconosciuto l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) come unico rappresentante legittimo del popolo palestinese, oggi la via sembra ormai essere un’altra: quella di normalizzare le relazioni tra Israele e vicini arabi scavalcando de facto la claudicante e vecchia leadership palestinese.

 

Immagine: Mappa del Medio Oriente. Crediti: Popartic / Shutterstock.com

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