Minaccia nucleare della Corea del Nord e rapporti commerciali degli Stati Uniti con la Cina, il Giappone, la Corea del Sud e tutta l’area del Sud-Est asiatico. Questi i temi centrali del primo viaggio istituzionale in Asia del presidente americano Donald Trump in corso in questi giorni. Da una parte, infatti, il presidente statunitense è impegnato a fare terra bruciata attorno al regime nordcoreano invitando i leader asiatici a isolare il governo di Kim Jong-un, dall’altra, persegue l’interesse a promuovere la propria agenda commerciale e di investimenti in terra asiatica.

Prima tappa del viaggio è stato il Giappone, dove Trump si è trovato subito in sintonia con il primo ministro Shinzo Abe, che aveva impostato la recente campagna elettorale proprio sulla necessità di rimuovere il pacifismo costituzionale e di provvedere alla sicurezza del Paese davanti alla minaccia nordcoreana. Dopo aver portato la sua solidarietà ai familiari di alcuni cittadini giapponesi rapiti da spie di Pyŏngyang, Trump ha promesso al Giappone nuove armi per poter proteggere dai missili nordcoreani gli obiettivi più sensibili. La scorsa estate, infatti, due di questi missili provenienti dalla Corea del Nord avevano sorvolato l’isola di Hokkaido. Dal punto di vista commerciale, invece, non ha risparmiato accuse al Giappone, reo di portare avanti la Trans-Pacific Partnership (TPP) con undici Paesi dell’area pacifica e asiatica nonostante il ritiro americano dall’accordo.

Dopo il Giappone è stata la volta della Corea del Sud, la tappa più breve del soggiorno asiatico, ma non meno importante delle altre. La capitale Seul si trova, infatti, a soli 50 chilometri dal 38° parallelo, dove è schierata l’artiglieria nucleare nordcoreana. Davanti al presidente Moon Jae-in Trump si è dimostrato ottimista sulla possibilità che la Corea del Nord decida infine di sedersi a un tavolo negoziale e ha inteso far capire che qualcosa in tal senso si sta muovendo. In molti sostengono però che si sia trattato solo di un tentativo volto a rassicurare l’alleato e con, forse, un non trascurabile secondo fine: ridurre l’avanzo commerciale coreano nei confronti degli Stati Uniti. Non è infatti un segreto che la vendita di costosi scudi antimissile al Giappone e alla Corea del Sud serve non soltanto a difendere gli alleati dalla minaccia nordcoreana ma anche a potenziare l’economia americana e a salvare tanti posti di lavoro.

In seguito Trump si è recato in Cina, dove ha ricevuto un’accoglienza “imperiale” da parte del presidente cinese Xi Jinping. Primo tema sul tavolo è stato la richiesta da parte del presidente statunitense di isolare completamente la Corea del Nord, richiesta rispetto alla quale Xi Jinping non ha fatto aperture. Non sembra infatti disposto a interrompere la fornitura di beni e finanziamenti al regime di Kim Jong-un. È però vero anche che la leadership cinese è consapevole che una guerra in Corea del Nord avrebbe effetti drammatici per la Cina, anche per l’ondata di profughi che con ogni probabilità arriverebbe da Pyŏngyang. Da qui la disponibilità del presidente cinese a lavorare per “denuclearizzare” la penisola coreana attraverso le sanzioni ONU e il dialogo. Sul fronte economico, dopo aver siglato insieme a Xi Jinping accordi commerciali per un valore di 250 miliardi di dollari, Trump ha denunciato il grande squilibrio nel registro degli scambi con la Cina, a suo dire pari a 500 miliardi di dollari annui (in realtà sarebbero 347), scaricando le colpe di questo disavanzo sull’amministrazione Obama.

Prossime tappe del viaggio asiatico di Trump saranno il Vietnam e le Filippine, dove il tema centrale dei colloqui saranno le ripercussioni sulle due controparti dell’uscita degli Stati Uniti dal TPP. Trump proverà a rassicurare i suoi interlocutori garantendo il rispetto degli impegni commerciali e finanziari e confermando la volontà americana di lavorare per controbilanciare l’influenza cinese nel Sud-Est asiatico.

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