22 settembre 2022

UE-Ungheria, una nuova tappa di un confronto dai tanti risvolti

 

Donereste del denaro a qualcuno senza la garanzia che venga ben speso? Senza essere sicuri che i vostri investimenti non andranno nelle tasche di qualche parente o amico del ricevente? Oppure senza la certezza che chi controlla il buon uso dei soldi lo faccia in maniera indipendente? In un’epoca in cui lo Stato di diritto e le istituzioni sembrano essere visti non più come valori da difendere, ma come terreno di scontro politico, porsi queste domande forse aiuta meglio a comprendere la battaglia in corso fra le istituzioni europee e l’Ungheria. Dopo l’adozione di una durissima relazione da parte del Parlamento europeo, che condanna «i tentativi deliberati e sistematici del governo ungherese» volti a minare i valori europei, domenica la Commissione europea ha deciso all’unanimità di proporre la sospensione dell’erogazione di circa 7,5 miliardi di fondi strutturali europei all’Ungheria, pari al 5% del PIL annuale del Paese. È una mossa senza precedenti, che per la prima volta applica il nuovo regolamento UE che consente di bloccare l’erogazione di risorse europee verso gli Stati che non rispettano i principi dello Stato di diritto. Si tratta del culmine di un lungo scontro fra Bruxelles e Budapest, accusata di non garantire l’indipendenza della magistratura, combattere i conflitti d’interesse e proteggere l’uso dei fondi dell’Unione Europea (UE) contro le frodi.

 

Il nuovo meccanismo che ha portato alla richiesta di sospensione dei fondi era stato attivato in aprile dalla Commissione, all’indomani delle elezioni che hanno sancito l’ennesima vittoria di Viktor Orbán in Ungheria. Si tratta di uno strumento inedito per l’UE, approvato a fine 2020, ma rimasto di fatto congelato per un anno a seguito della minaccia proprio dell’Ungheria di mettere il veto sul Recovery Fund e sul nuovo bilancio UE 2021-27. La sua ragion d’essere non riguarda però la protezione dei valori europei, della democrazia o dei diritti, ma quella del bilancio comunitario. L’applicazione della normativa, infatti, si basa sul principio che senza meccanismi di controllo efficaci della spesa e una giustizia affidabile in grado di punire chi commette reati c’è il rischio che i soldi dei contribuenti europei finiscano nelle mani sbagliate o usati in maniera inefficace.

 

Tutto fa pensare che la decisione della Commissione rappresenti un forte segnale politico diventato inevitabile dopo l’ennesima presa di posizione degli eurodeputati, che però non avrà reali conseguenze. Lo stesso comunicato stampa con cui la Commissione ha annunciato l’inedita proposta di sospendere il 65% degli impegni relativi a tre programmi finanziati dalla politica di coesione lascia la porta aperta a una risoluzione del conflitto senza incidenti. Si parla di «dialogo intenso» con Budapest negli ultimi mesi, terminati con la proposta di una serie di misure da parte dell’Ungheria in risposta alle preoccupazioni di Bruxelles sullo Stato di diritto nel Paese. «La Commissione conclude che tali misure correttive proposte potrebbero, in linea di principio, risolvere i problemi in questione, a condizione che siano correttamente dettagliate nelle leggi e nelle norme pertinenti e attuate di conseguenza», continua il comunicato. L’esecutivo comunitario spiega di aver deciso di passare alla fase successiva della procedura «in attesa dell’adempimento» dei correttivi proposti da Budapest.  

Perché la proposta diventi effettiva dovrà poi essere approvata dalla maggioranza qualificata degli Stati membri, che significa almeno 15 Paesi su 27, rappresentanti almeno il 65% della popolazione dell’Unione. Da regolamento, le capitali hanno un mese per pronunciarsi, ma tale periodo può essere prolungato di due mesi «se si verificano circostanze eccezionali». Con la crisi energetica e geopolitica in corso, non c’è dubbio che al governo di Viktor Orbán verrà dato più tempo per rispondere all’affondo della Commissione.

 

In seguito alla vittoria della destra in Svezia e il possibile successo di Fratelli d’Italia alle elezioni di domenica, la Commissione teme poi la possibilità che Orbán possa riuscire a riunire attorno a sé una cosiddetta “minoranza di blocco”, cioè almeno quattro Stati membri rappresentanti il 35% della popolazione, che gli consentirebbe di bloccare il taglio dei fondi. La presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen ha però un’altra freccia nella sua faretra: l’approvazione del PNRR ungherese, tenuto ancora nel congelatore e già ridotto da 7,2 a 5,8 miliardi di euro.

 

Dopo l’uscita di scena di Angela Merkel, Viktor Orbán è diventato l’indiscutibile veterano del Consiglio europeo e si muove a suo agio fra istituzioni e normative comunitarie. Inoltre, l’Ungheria avrà la presidenza di turno del Consiglio dell’UE nella seconda metà del 2024, cioè all’indomani delle prossime elezioni europee e prima di passare il testimone alla Polonia, che avrà la presidenza nel primo semestre del 2025. Le possibilità di inasprire ulteriormente lo scontro con Orbán, insomma, sono tutte sul tavolo. Tuttavia, a Bruxelles sono consapevoli che potrebbero perdere una battaglia a muso duro contro un leader che ha costruito gran parte del suo successo politico proprio sull’opposizione alle cosiddette ingerenze di Bruxelles nella politica nazionale e che più di una volta ha mostrato la sua vicinanza al presidente russo Vladimir Putin. La necessità di serrare i ranghi davanti alla guerra d’invasione dell’Ucraina scatenata dalla Russia mal si concilia con uno scontro interno all’Unione che, invece di rafforzare, rischia d’indebolire la solidarietà fra Paesi in un momento di estrema necessità.

 

Immagine: Viktor Orbán (20 marzo 2019). Crediti: Alexandros Michailidis / Shutterstock.com

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