14 settembre 2023

Un discorso sullo Stato dell’Unione che è già campagna elettorale

 

Un po’ bilancio di fine mandato e un po’ candidatura per un secondo. Un po’ guardando agli elettori europei e un po’ (forse troppo) ai suoi rivali all’interno del Partito popolare europeo (PPE). È stato un discorso sullo Stato dell’Unione abbastanza sottotono quello che Ursula von der Leyen ha pronunciato mercoledì a Strasburgo, durante la plenaria del Parlamento europeo. Come sempre accade, sono molte e variegate le angolature dalle quali è possibile interpretare le parole della presidente della Commissione europea. Ma una cosa è chiara a tutti: la campagna elettorale verso le elezioni europee del prossimo anno è già cominciata. 

 

La guerra in Ucraina

Passate la paura e l’incertezza generate dalla pandemia di Coronavirus, questa volta sono stati la protezione del tessuto industriale europeo e della competitività a farla da padrone. Niente più decine di riferimenti precisi a uomini, donne e luoghi di tutta Europa per rendere le sue parole più vicine ai cittadini. Come quando, nel 2020, citò le due giovani tenniste in erba che durante il lockdown si allenavano sui tetti di Finale Ligure. O come quando, l’anno successivo, invitò la campionessa di fioretto paralimpico Bebe Vio in aula a Strasburgo definendola una «ispirazione per l’Europa». Questa volta le emozioni sono state riservate solo alla guerra in corso in Ucraina e al commosso ricordo della scrittrice e attivista Victoria Amelina, uccisa due mesi fa da un bombardamento russo su Kramatorsk. A omaggiarla in aula è stato anche lo scrittore colombiano Héctor Abad Faciolince, amico di Amelina che ha creato una campagna per sensibilizzare i cittadini latinoamericani sulla guerra d’invasione della Russia.

 

Il Green deal europeo

In diversi passaggi del discorso di von der Leyen è sembrato chiaro l’obiettivo di contrastare la linea data al PPE, di cui lei fa parte, dal capogruppo al Parlamento europeo e suo connazionale Manfred Weber. Da diversi mesi il politico tedesco (che avrebbe dovuto diventare presidente della Commissione al posto di von der Leyen) ha imposto al partito una linea molto critica verso le politiche ambientali promosse dal Green deal europeo. Dopo aver tentato invano di affossare la legge sul ripristino della natura (ne avevamo già parlato qui), Weber ha continuato a strizzare l’occhio all’estrema destra opponendosi a nuove misure ambientali. In settimana è persino arrivato a criticare i centri storici pedonalizzati che da anni esistono nella maggior parte delle città europee. Il PPE ha tentato di abbracciare sempre di più le cause degli agricoltori, storico bacino elettorale dei partiti euroscettici, criticando così misure su cui von der Leyen ha investito gran parte del suo capitale politico. La presidente ha quindi rivendicato quanto fatto finora e l’importanza del Green deal per il futuro dell’Europa, ma ha anche annunciato una serie di «dialoghi sulla transizione pulita con l’industria» che cominceranno già da questo mese. Un’iniziativa che, secondo i più critici, servirà di fatto a mantenere in vita il Green deal (accontentando l’ala sinistra dell’emiciclo) ma allo stesso tempo a rallentarne la realizzazione (accontentando quindi l’ala destra). Poi la presidente è passata dall’inglese al tedesco, lingua di Weber, per rendere omaggio agli agricoltori europei «e ringraziarli per il cibo che ci forniscono quotidianamente», ripetendo che agricoltura e tutela della natura possono andare «di pari passo. Abbiamo bisogno di entrambe».

Allo stesso modo, anche l’annuncio di un’inchiesta sulle sovvenzioni pubbliche per i veicoli elettrici prodotti in Cina può essere letto come una mossa rivolta soprattutto ai suoi compagni di partito. La lotta alla concorrenza sleale cinese e la tutela delle imprese europee sono fra i temi su cui punterà maggiormente il PPE in vista delle prossime elezioni. Weber ha infatti subito esultato: «Non vogliamo vedere veicoli elettrici cinesi che approfittano del nostro ambizioso approccio climatico».

 

La prospettiva italiana

Da una prospettiva più italiana, sono da valorizzare le parole spese da von der Leyen per spingere gli Stati membri a concludere un accordo sul nuovo patto sulla migrazione e l’asilo. «Mostriamo che l’Europa è in grado di gestire le migrazioni con efficacia e compassione e portiamo a termine il lavoro iniziato» ha detto la presidente, che ha difeso anche il controverso accordo con la Tunisia siglato a luglio in tandem con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni

Diversi titoli di giornale se li è aggiudicati anche la scelta di affidare a Mario Draghi, definito «una fra le più grandi menti dell’Europa in materia di economia», il compito di preparare una relazione sul futuro della competitività europea. Non è la prima volta che un italiano viene designato per redigere report o guidare riflessioni sul futuro dell’Europa. È successo già due volte con Mario Monti, che prima, su incarico dell’allora presidente della Commissione José Manuel Barroso, ha redatto un report sul rilancio del mercato unico (pubblicato nel 2010) e poi, fra il 2014 e il 2017 e sempre su incarico di Barroso, ha presieduto il lavoro di un gruppo di esperti sul bilancio dell’Unione Europea (UE). Così come fu per Monti, è difficile azzardare previsioni sull’impatto che la relazione di Draghi potrà avere sulla definizione delle future politiche dell’Unione.

 

L’allargamento dell’Unione

Infine, il capitolo sull’Ucraina e l’allargamento a est dell’Unione Europea. In un breve intervento organizzato subito dopo il discorso di Strasburgo dall’Istituto Jacques Delors, da lui guidato, l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta ha definito l’allargamento un tema «centrale» per i prossimi anni, che sarà fra i «più difficili e complicati» da gestire. «Prima del 2019», cioè del mandato di von der Leyen, «ma anche del 2021, l’allargamento non era un argomento centrale del dibattito europeo. Ora lo è diventato anche a causa della Russia. È la prova che Putin ha mancato tutti i suoi obiettivi», ha spiegato Letta. La presidente della Commissione si è spesa per un futuro europeo di Ucraina, Balcani occidentali, Moldavia e Georgia, ma ha anche lanciato una stoccata al presidente del Consiglio europeo Charles Michel, con cui i contrasti sembrano ormai insanabili. «L’adesione è basata sul merito e la Commissione difenderà sempre questo principio», ha detto, rispondendo indirettamente alla proposta di Michel d’indicare il 2030 come data limite per l’ingresso dei Paesi candidati. Von der Leyen ha parlato di un futuro dell’Unione a 30 «e più» Stati membri, quindi almeno tre in più degli attuali 27, facendo anche aperture significative verso una possibile modifica dei Trattati dell’UE. Un argomento quasi tabù per molte capitali nazionali che potrebbe tornare di attualità dopo la tornata elettorale di giugno.

 

Immagine: Ursula von der Leyen parla durante una conferenza stampa dopo una riunione del Collegio dei commissari presso la sede dell’UE a Bruxelles, Belgio (20 giugno 2023). Crediti: Alexandros Michailidis / Shutterstock.com

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