22 settembre 2022

Una nuova fase della guerra. Ragioni e conseguenze del discorso di Putin

 

Dopo sette mesi dall’inizio del conflitto in Ucraina, il discorso pronunciato dal presidente Vladimir Putin determina una nuova fase della guerra, un’escalation che non lascia intravedere soluzioni immediate e concrete. In seguito alla controffensiva ucraina nel Nord-Est del Paese, cha ha sancito una prima sconfitta militare e il ritiro parziale delle truppe russe, “il partito della guerra”, costituito dalle fazioni politiche più nazionaliste e radicali, ha criticato pubblicamente la gestione presidenziale del conflitto e, insoddisfatto dell’andamento negativo della cosiddetta “operazione militare speciale”, ha chiesto un’azione decisiva sul piano militare. Per la prima volta nella sua lunga carriera al potere, il presidente Putin si è trovato politicamente in difficoltà sia all’interno del “giardino d’oro” del Cremlino (le élite) sia all’esterno della Federazione Russa in seguito alle perplessità/contrarietà sul conflitto, espresse anche dai presidenti cinese e indiano al summit dell’Organizzazione per la cooperazione di Shangai.

L’unica alternativa di Putin per uscire dall’angolo era passare all’attacco ovvero rilanciare la sfida all’Ucraina e all’Occidente. Dopo aver atteso l’esito delle elezioni locali che hanno riconfermato il consenso al partito del potere, Russia unita, il Cremlino ha attuato una serie di passaggi propedeutici all’annuncio della mobilitazione parziale, come era già avvenuto per l’inizio delle ostilità lo scorso 24 febbraio. In primo luogo, sono stati implementati alcuni emendamenti legislativi, volti a disciplinare, anche sul piano del codice penale, i concetti di “legge marziale”, “mobilitazione” e “tempo di guerra”. In secondo luogo, sono state indette le consultazioni referendarie dal 23 al 27 settembre nelle autoproclamate repubbliche autonome del Donbass  ‒ Donetsk e Lugansk ‒, e negli oblast′ (regioni) di Cherson e Zaporižžja. Conseguentemente, Putin si è rivolto alla nazione, ribadendo la necessità di garantire la sicurezza del Paese contro gli attacchi, non solo dell’Ucraina, ma, soprattutto, della NATO. Pur non avendo mai pronunciato il termine “guerra”, il presidente russo ha intrapreso una scelta che incide negativamente sull’opinione pubblica del Paese. Per limitare forme di diserzione e proteste, il ministro della Difesa, Sergej Šojgu, ha elencato i criteri di reclutamento: 300.000 riservisti «con esperienza di combattimento, secondo le specializzazioni militari richieste dai comandi delle forze armate» e l’esclusione di alcune categorie: in sostanza, solo l’1% dei 25 milioni di uomini che potrebbero prestare servizio. Tuttavia, questo annuncio ha determinato manifestazioni di protesta (le forze speciali hanno fermato 1386 persone in 38 città), prenotazioni di voli verso l’estero e code automobilistiche alle frontiere. 

 

In questa drammatica situazione, due sono le domande più ricorrenti nel dibattito pubblico internazionale. Quali sono le implicazioni politiche e militari delle annessioni dei territori ucraini alla Russia? Possiamo veramente ritenere che Putin stia bleffando quando minaccia di ricorrere all’uso di armi nucleari? Il presidente Putin ha accelerato la data della “scontata” annessione, prima di tutto, per consolidare le aree già “conquistate” e, in un secondo momento, per applicare la dottrina militare e l’art. 87, comma 2 della Costituzione che sancisce l’introduzione della “legge marziale” in caso di «aggressione contro la Federazione Russa o minaccia diretta di aggressione». Dinanzi, quindi, ad un attacco dell’esercito ucraino o «minaccia esistenziale», il Cremlino è, quindi, nelle potenziali condizioni di agire con modalità diverse rispetto a quelle sinora mostrate sul campo. Certamente, il fattore temporale costituisce una variabile determinante nella nuova strategia del Cremlino che punta, in attesa dell’arrivo nei prossimi mesi dei riservisti in Ucraina, a colpire infrastrutture e servizi per mettere in estrema difficoltà la popolazione durante l’inverno e ottenerne la resa incondizionata. E in attesa di verificare la reazione dell’Occidente, diviso tra coloro che mirano al crollo politico ed economico della Russia e difendono l’integrità territoriale ucraina e quelli che auspicano una soluzione negoziale per la fine del conflitto, Putin dovrà gestire questa nuova situazione, controbilanciando le tensioni interne con quelle internazionali. Si sostiene che, razionalmente, il presidente Putin non abbia alcuna convenienza a utilizzare missili nucleari. In teoria è possibile, e non solo auspicabile, ma la “personalità autoritaria”, l’orso ferito nell’orgoglio e non solo sul campo, può essere molto pericoloso. È opportuno, quindi, non prendere decisioni impulsive, ma tentare ancora la via del negoziato. Un “congelamento” del conflitto nei prossimi mesi e una situazione sotto controllo nella politica domestica potrebbe indurre il presidente Putin a ritenersi politicamente più forte e, quindi, in condizione di accettare un dialogo. 

 

        TUTTI GLI ARTICOLI DI ATLANTE SULLA GUERRA IN UCRAINA

 

Immagine: Vladimir Putin (marzo 2022). Crediti:  Shag 7799 / Shutterstock.com

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata