Il 3 novembre 2020 i cittadini americani, donne e uomini, andranno al voto in una situazione nazionale e globale di incertezza senza precedenti: la pandemia dovuta al Covid-19, il confronto tra diverse anime del Paese materializzatosi nell’estate con le manifestazioni di Black Lives Matter che hanno incrinato fortemente l’unità nazionale, un’economia preda della recessione causata dalla pandemia, i disastri provocati dai cambiamenti climatici.

L’agenda delle priorità degli elettori e delle elettrici statunitensi è cambiata. Se per quelli democratici economia, salute, emergenza Covid-19, disuguaglianza economica, sono gli aspetti centrali, per quelli repubblicani le preoccupazioni maggiori riguardano, oltre all’economia, il contrasto al crimine violento, l’immigrazione, la detenzione e l’uso di armi. Queste divergenze strutturali, tuttavia, sono attraversate da diversità generazionali, razziali e di genere.

La pandemia ha avuto e ha un impatto economico sproporzionato sui giovani statunitensi tra i 16 e i 29 anni, sollecitandoli al cambiamento e ampliando il gap con le generazioni precedenti. Essi costituiscono infatti un terzo del totale dei disoccupati, sebbene rappresentino meno di un quarto della forza lavoro. Secondo i dati raccolti nel corso dell’estate (The Harvard Gazette, 14 ottobre 2020) il 28% dei giovani non lavora e non si istruisce, il doppio rispetto al periodo precedente alla pandemia, con gravi conseguenze sulla carriera futura e la costruzione di una vita personale autonoma. Il loro ingresso nel mercato del lavoro è tardivo e il loro tasso di ricchezza inferiore del 34% rispetto a quello della generazione precedente. Se è vero che in linea generale i giovani sotto i 40 anni di età costituiscono più di un terzo dell’elettorato ma votano in misura minore rispetto alle generazioni più adulte, la volontà di favorire politiche redistributive potrebbe portarli (soprattutto i bianchi) in numero maggiore al voto, in gran parte a favore del Partito Democratico, il cui messaggio è più centrato sul tema della giustizia economica.

Quest’ultima questione, così come quella della giustizia razziale, ha mobilitato inoltre donne e uomini afroamericani la cui partecipazione al voto può essere cruciale per l’elezione del prossimo presidente statunitense, soprattutto in stati in bilico come Florida, Georgia e North Carolina. Non per caso il presidente Trump (che nelle elezioni del 2016 aveva avuto solo l’8% del voto afroamericano), nell’ultimo mese di campagna elettorale ha annunciato un finanziamento consistente a favore delle comunità nere per fronteggiare il Covid-19 e la crisi economica, creare posti di lavoro per 3 milioni di afroamericani e 500.000 nuove piccole imprese gestite da popolazione di colore. L’ingiustizia razziale e la protesta diffusa sono fattori rilevanti nella decisione di andare alle urne in novembre, soprattutto dal momento dell’uccisione di John Floyd a Minneapolis il 25 maggio 2020 che ha portato a una mobilitazione imponente: oltre 2400 proteste in diverse località degli Stati Uniti. Sebbene il candidato democratico Joe Biden non abbia lo stesso consenso di Barack Obama nelle comunità afroamericane e la presenza di Kamala Harris come candidata vicepresidente di colore non abbia spostato i sondaggi in maniera consistente a favore dei democratici, il ticket Biden-Harris è ritenuto più capace di gestire le questioni razziali e di promuovere equità e giustizia.

Per quanto in alcuni stati, come la Georgia e il North Carolina, siano nate organizzazioni favorevoli al presidente repubblicano, come Black Voice for Trump, pochi indicatori sostengono la possibilità che gli afroamericani cambino il loro comportamento elettorale, a favore del Partito Democratico dai tempi del New Deal rooseveltiano. Il grande tema è dunque quello della loro affluenza elettorale. Se è vero infatti che nelle elezioni del 2016 il tasso di partecipazione era sceso al 59,6% rispetto al 66,2% del 2012 (seconda elezione di Barack Obama), Biden attrae maggior consenso rispetto alla candidata democratica precedente, Hillary Clinton. Nell’ambito delle comunità nere, inoltre, sono le donne a costituire la spina dorsale del voto a favore del Partito Democratico, come rivelano i sondaggi del Pew Research Center (16 ottobre 2020): Biden ha dalla sua il 76% degli uomini afroamericani (Trump il 17%) e l’87% delle donne (Trump il 4%). Saranno inoltre gli over 30 a votare per i democratici mentre i giovani neri considerano scarsamente radicali i due candidati (fivethirtyeight, 23 settembre 2020).

A credere nei democratici in relazione a una migliore gestione del Covid-19 dal punto di vista sanitario ed economico è anche la maggioranza dei 32 milioni di ispanici che andranno al voto quest’anno. Ancora una volta sono soprattutto le donne, che più di altri gruppi hanno perso il lavoro a causa della pandemia, a votare per Biden.

Le donne statunitensi, che quest’anno festeggiano il centenario dell’ottenimento del voto (agosto 1920) e che dal 1992 hanno favorito i candidati democratici, svolgeranno un ruolo rilevante nelle elezioni presidenziali. I sondaggi indicano infatti che proprio in questa occasione potrebbe verificarsi il maggiore “gender gap” dal 1920, poiché le donne sono decise a difendere con forza la legge sull’interruzione di gravidanza (Roe vs. Wade) del 1973 e l’Affordable Care Act che garantisce loro l’accesso alla contraccezione. Entrambi questi temi infatti sono sotto attacco da parte dei repubblicani e della candidata del presidente Trump, Amy Coney Barrett, a sostituire alla Corte Suprema la giudice progressista Ruth Bader Ginsburg, recentemente scomparsa.

La maggioranza della popolazione americana vuole una nazione unita, solidale e favorevole all’equità sociale, economica e razziale. Mai come in queste elezioni presidenziali genere, razza e diversità generazionali peseranno sull’esito del voto.

Immagine: New York, settembre 2020. Manifestanti si radunano in Union Square per protestare contro il presidente D. Trump prima delle elezioni. Crediti: rblfmr / Shutterstock.com

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