Nelle dichiarazioni pubbliche delle autorità cinesi è stato più volte sottolineato nelle ultime settimane come l’aumento delle spese militari sia collegato ai rischi connessi al confronto globale con gli Stati Uniti. Durante i lavori delle ‘due sessioni’ del Congresso nazionale del popolo e della Conferenza politica consultiva, che si sono conclusi l’11 marzo, il vicepresidente della Commissione militare centrale Xu Qiliang, ha evocato la cosiddetta ‘trappola di Tucidide’, alludendo all’inevitabile conflitto che si produce tra una potenza emergente e una consolidata. Confrontare Pechino con Atene è una metafora ardita ma non priva di significato. In quella stessa occasione il ministro della Difesa Wei Fenghe ha sostenuto che «il contenimento e il contro-contenimento saranno il tono principale dei legami bilaterali tra Cina e Stati Uniti». Ma è stato soprattutto l’intervento del presidente Xi Jinping a rendere più chiara la visione della superpotenza asiatica. Parlando nel pomeriggio di martedì 9 marzo davanti ai vertici dell’Esercito e dello Stato durante il Congresso nazionale del popolo, Xi Jinping ha definito la situazione della sicurezza in Cina «instabile e incerta» e ha invitato l’Esercito popolare di Liberazione cinese a prepararsi a rispondere a «situazioni complesse e difficili in qualsiasi momento».

Non si tratta di un esercizio retorico; a queste indicazioni generali, seguono decisioni concrete. Durante le ‘due sessioni’, che si sono concluse l’11 marzo, è stato annunciato che quest’anno il budget dell’Esercito raggiungerà i 209 miliardi di dollari, con un incremento del 6,8% rispetto al 2020. Secondo alcuni osservatori, la crescita della spesa militare potrebbe essere anche maggiore di quanto dichiarato, secondo una linea di condotta non ispirata alla trasparenza, riscontrata già negli anni passati. La lettura cinese della situazione si basa comunque sui movimenti della controparte. Parlando di spese militari, non bisogna dimenticare che gli Stati Uniti spendono per la Difesa circa 700 miliardi di dollari l’anno e gli esperti valutano ancora notevole il vantaggio sia nella qualità tecnologica sia nell’esperienza di combattimento. Inoltre gli Stati Uniti si accingono a dislocare nello scacchiere asiatico ulteriori forze e armamenti; il comando militare americano per l’Indo-Pacifico (USINDOPACOM, United States Indo-Pacific Command) sta programmando per i prossimi anni la costituzione di nuove basi e il rafforzamento complessivo della sua presenza a ridosso del gigante cinese. Nel giro di due anni verranno investiti 7 miliardi di dollari per una nuova Pacific deterrence intiative: un disegno che sarà probabilmente vissuto da Pechino come un tentativo di accerchiamento. A confermare in qualche modo i timori della Cina, venerdì 12 marzo si terrà un vertice virtuale del QUAD (Quadrilateral Security Dialogue) a cui parteciperanno per la prima volta le massime autorità dei quattro Paesi coinvolti: il presidente degli USA Joe Biden, il primo ministro giapponese Yoshihide Suga, il primo ministro australiano Scott Morrison e il primo ministro indiano Narendra Modi. Si parlerà anche di sicurezza marittima e di contrasto alle mire egemoniche della Cina nell’area; Pechino vive di per sé questo legame tra i quattro Paesi come un’iniziativa ostile. L’amministrazione Biden considera però prioritaria quest’area e sabato 13 il segretario alla Difesa Lloyd Austin si recherà alle Hawaii proprio per far visita al Comando Indo-pacifico delle forze USA. Da lì, si recherà insieme al segretario di Stato Tony Blinken prima in Giappone, poi in Corea del Sud; infine Austin andrà in India dove incontrerà il ministro della Difesa indiano Rajnath Singh. Questa iniziativa diplomatica allargata, durante la quale si discuterà molto probabilmente del confronto globale con Pechino, è sintomatica delle priorità dell’amministrazione Biden. Confermata in qualche modo proprio dal vertice con la Cina fissato per il 18 e il 19 marzo ad Anchorage, in Alaska. Si incontreranno con il segretario di Stato americano Blinken e il consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan, il ministro degli Esteri, Wang Yi, e il capo della Commissione affari esteri del Partito comunista cinese, Yang Jiechi, molto legato al presidente Xi Jinping. Si tratta del primo incontro di alto livello fra Pechino e Washington nell’era Biden; sull’ordine del giorno le fonti ufficiali restano molto sul generico, ma si tratta con ogni probabilità di un tentativo di riprendere il dialogo anche in questa fase in cui la parola confronto assume altri significati. I due Paesi sanno che questa sfida fra giganti può essere molto dispendiosa e non esente da rischi di conflitto aperto. Anche se la trappola di Tucidide è spesso scattata nella storia, nulla è già scritto, il dialogo può riprendere e i fronti dove si gioca la partita, nonostante la corsa al riarmo, non sono, per ora, prevalentemente militari.

Immagine: Militari cinesi (16 ottobre 2009). Crediti: Luther Bailey [Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0)], attraverso www.flickr.com

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