Il partito del premier uscente Benjamin Netanyahu è ancora una volta il più votato dai cittadini israeliani, che il 23 marzo sono stati chiamati alle urne per la quarta volta in due anni. Il Likud, con il 90% di schede scrutinate, può infatti contare su 30 seggi, con uno stacco di ben 13 seggi rispetto al principale avversario, Yair Lapid. Il suo partito, Yesh Atid, ha infatti ottenuto 17 posti in Parlamento, ma la partita per la formazione del prossimo Governo è ancora aperta.

Per poter comprendere gli equilibri politici sanciti dalle ultime elezioni è infatti necessario guardare ai risultati ottenuti dalla generalità dei partiti, divisi in due blocchi. Il primo, quello capeggiato dal premier uscente, può contare attualmente su 52 seggi: 30 del Likud; 9 della formazione ultraortodossa Shas; 7 di United Torah Judaism; 6 di Sionismo religioso, la coalizione di estrema destra di recente formazione. Il fronte anti-Netanyahu ha invece 56 seggi: i 17 di Yesh Atid; 8 di Blu e Bianco di Benny Gantz; 7 di Yisrael Beiteinu; 7 del Labor; 6 di New Hope fondato da Gideon Saar dopo la sua fuoriuscita dal Likud; 6 della Joint List araba; 6 del socialdemocratico Meretz.

Il partito di destra Yamina di Naftali Bennett ha invece ottenuto 7 seggi e per diverse ore è stato considerato l’ago della bilancia nella formazione del prossimo Governo. Bennett è stato corteggiato da entrambi i blocchi fin dall’inizio della campagna elettorale, ma anche dopo l’avvio dello spoglio ha preferito non esprimersi sulle future alleanze. Il leader di Yamina vuole attendere i risultati definitivi ‒ che arriveranno nella giornata di venerdì ‒ prima di scegliere da che parte stare ed è difficile prevedere quale sarà la sua mossa. In campagna elettorale, Bennett ha più volte affermato di voler mettere fine alla premiership di Netanyahu, ma ha anche dichiarato di non voler far parte di un Governo guidato da Lapid. «Farò ciò che servirà a fare il bene dello Stato», è stato l’unico commento del leader di Yamina.

Con il passare delle ore, però, la situazione ha subìto un importante mutamento. Il partito islamista di Mansour Abbas, Ra’am, fuoriuscito dalla Lista araba unita, è riuscito a superare la soglia di sbarramento del 3.25% e ad ottenere 5 seggi, riducendo il successo della coalizione araba. Abbas è diventato così il game changer delle elezioni israeliane. Il supporto di Yamina, come detto, permetterebbe al blocco anti-Netanyahu di formare un nuovo Governo, ma i 7 voti di Bennett non sono abbastanza per il premier uscente. La formazione guidata da Netanyahu arriverebbe infatti a 59 seggi, due in meno rispetto ai 61 necessari per ottenere la maggioranza all’interno della Knesset. Con il sostegno ‒ anche solo esterno ‒ del partito islamico Ra’am, Netanyahu potrebbe invece riconfermarsi ancora una volta alla guida di Israele.

Abbas, stando alle sue precedenti dichiarazioni, sarebbe disposto ad allearsi con il Likud, ma vorrà sicuramente sfruttare la sua attuale posizione di forza per ottenere maggiori concessioni prima di ufficializzare il sostegno di Ra’am a Netanyahu. Tra l’altro, non è detto che gli altri partiti di destra accettino di far entrare nella coalizione un partito islamista, considerando l’avversità nei confronti degli arabi che da sempre caratterizza gli alleati di Netanyahu.

L’attesa adesso è per lo scrutinio finale. Il Comitato elettorale deve ancora esaminare le 450.000 schede dei malati di Covid e di chi è in quarantena, oltre a quelle di soldati, diplomatici all’estero, disabili ed altre categorie per le quali è previsto un differente sistema di voto. Di solito questi voti comportano un spostamento di massimo un seggio, ma nella situazione di stallo attuale qualsiasi cambiamento sarebbe sufficiente per ribaltare nuovamente gli equilibri.

Una volta terminato lo scrutinio, spetterà al presidente Reuven Rivlin decidere a chi affidare l’incarico di formare il nuovo Governo, dopo una settimana di consultazioni. Se nessuno dei candidati dovesse riuscire ad ottenere la maggioranza, il Paese tornerebbe nuovamente al voto per la quinta volta. Una prospettiva poco allettante per i partiti ma soprattutto per gli elettori, sempre più stanchi di una instabilità politica che si protrae da anni e da cui non sembra esserci ‒ almeno per il momento ‒ via d’uscita.

Immagine: Manifesto elettorale che ritrae Benjamin Netanyahu dopo le elezioni della Knesset israeliana, Holon, Israele (24 marzo 2021). Crediti:  Roman Yanushevsky / Shutterstock.com

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