Mentre in tutto il continente è in corso un intenso dibattito in attesa delle decisioni che verranno prese al Consiglio europeo del 28 giugno, anche la Germania si interroga sui destini dell’Unione europea e della moneta unica. Mentre i cristiano-democratici della CDU sembrano pronti a fare qualche compromesso, gli alleati liberali della FDP – nonostante alcune caute aperture del loro capogruppo al Bundestag Rainer Brüderle - mantengono le posizioni e confermano la loro opposizione sia all’introduzione immediata di obbligazioni europee comuni sia all’abbandono della moderazione salariale per favorire un riequilibrio macroeconomico europeo. Da alcune settimane la cancelliera Angela Merkel, pur lanciando segnali ambigui, sembra aver smussato le proprie posizioni al punto che nel dispositivo finale del vertice informale dei capi di Stato e di governo dell’Unione tenutosi a Bruxelles a fine maggio è apparsa per la prima volta la parola "eurobonds”. L’ammorbidimento tedesco è innanzitutto il risultato di un riposizionamento tattico per evitare – dopo la vittoria di François Hollande in Francia – di restare isolati nello scacchiere europeo. A questo si aggiunge il duro braccio di ferro in corso con l’opposizione socialdemocratica per la ratifica del Fiscal compact da parte del Bundestag. L’approvazione, inizialmente prevista per il 25 maggio, è slittata a metà giugno proprio per le richieste di SPD e Verdi di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie. Una modifica che sembra essere dettata, più che da profonde motivazione politiche,  soprattutto da ragioni tattiche, nella speranza di porre in ulteriore difficoltà la maggioranza di governo già messa a dura prova dalle numerose sconfitte incassate nelle elezioni locali in Nordreno-Vestfalia e in Schleswig-Holstein. A trattenere la cancelliera nelle sue caute aperture c’è invece sia l’intransigenza della Bundesbank che quella delle associazioni imprenditoriali di categoria. Il governatore della banca centrale Jens Weidmann non perde occasione per porre il suo veto a qualsiasi forma di mutualizzazione del debito europeo, appellandosi anche alla sentenza della Corte Costituzionale di Karlsruhe del settembre scorso che vieta di assumere passività altrui senza che siano previsti corrispondenti meccanismi di cessione della sovranità. Contemporaneamente l’associazione della Camera di Commercio e dell’Industria (Dihk) non nasconde le proprie preoccupazioni per il fatto che la Germania, mentre mostra la faccia feroce fuori dei propri confini, sembra aver allentato la disciplina fiscale in casa propria, rinviando il raggiungimento del pareggio di bilancio al 2016. La cancelliera e il suo fidato ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, stretti fra pressioni europee e irrigimenti interni, si possono però consolare con i sondaggi di opinione: la loro popolarità è ai massimi dal 2009 e la linea intransigente nei confronti della Grecia è appoggiata da quasi l’80% dei tedeschi. Un dato che lascia davvero poche speranze a coloro che speravano in una maggiore consapevolezza della Germania sulle attuali difficoltà del processo di integrazione europea e sull’esigenza di un rapido cambio di marcia.