Ancora combattimenti in Siria, negli ultimi giorni di gennaio, con 160 morti. La guerriglia è ormai alle porte di Damasco, dove la controffensiva dell’esercito ha faticato a riprendere il controllo del territorio. La missione della Lega Araba, dopo il ritiro dell’Arabia Saudita e degli altri paesi del Golfo, è comunque sospesa, incrinata dalle divisioni interne e dal fallimento di ogni tentativo di ridurre le tensioni e le violenze. Si attende il pronunciamento dell’Onu sul piano di pace elaborato dalla Lega Araba che prevede l’uscita di scena del presidente Assad, il passaggio dei poteri al suo vice e la formazione di un governo di unità nazionale con il mandato di organizzare le elezioni legislative e presidenziali. Damasco ha respinto con durezza questa prospettiva, la Russia presidia con il suo veto la posizione del suo alleato nell’area.
In Siria si profila sempre più lo spettro della guerra civile. Al tempo stesso, l’impressione di molti osservatori è che la partita si giochi più all’estero che in patria, dove gli equilibri sono complessi e rischiano di produrre una drammaticamente movimentata situazione di stallo: il regime appare ancora radicato a Damasco e ad Aleppo, gli alauiti appoggiano il correligionario Assad, i cristiani sono spaventati dall’evoluzione dell’Iraq e dell’Egitto, un’ampia parte dell’esercito, della burocrazia e della borghesia teme i cambiamenti. Il fattore esterno può diventare allora decisivo: il conflitto, apertosi all’interno della Lega Araba, evidenzia come la crisi siriana sia inscritta nello scontro in atto per l’egemonia dell’area tra l’Iran sciita, che è attualmente l’alleato più importante di Damasco, e i potenti regnanti sunniti del Golfo.

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