L’Iran ha eletto il suo nuovo presidente. Come da previsioni la vittoria è andata a Ebrahim Raisi, candidato ultraconservatore che andrà a sostituire il presidente moderato uscente Hassan Rohani.

Raisi, vincitore delle elezioni con la più bassa affluenza alle urne nella storia della Repubblica Islamica, è chiamato a dimostrare le necessarie capacità nel rilanciare l’economia iraniana, fortemente provata dalla stagnazione economica e dalla pandemia di Coronavirus. Le difficoltà di natura economica patite dal Paese hanno, a loro volta, rinfocolato il malcontento sociale scatenando negli ultimi anni diverse proteste in tutto il Paese. Se Raisi vuole ottenere maggior stabilità interna, come richiesto dalla sua area politica attraverso una stretta sui canali di comunicazione dei cittadini iraniani, dovrà per forza di cose garantire una concreta crescita economica a una popolazione caratterizzata da una robusta parte di giovani che faticano a entrare nel mercato di lavoro.

Minor libertà in cambio di una maggiore prosperità economica è una ricetta tipica delle autocrazie contemporanee, a partire dall’esempio cinese negli ultimi decenni. Se per il governo di Raisi sarà fondamentale lavorare sulla rimozione delle sanzioni per ridare fiato all’economia, un’ulteriore partita, meno nota in Occidente, ma altrettanto cruciale per la riuscita dei progetti economici del nuovo governo, saranno i rapporti che Raisi riuscirà a costruire con i vicini Paesi arabi collocati sull’altra sponda del Golfo.

Raisi stesso si è espresso direttamente sull’argomento nel corso della sua prima conferenza stampa da presidente, dichiarando che il miglioramento dei rapporti con i Paesi arabi del Golfo costituirà una priorità per il suo governo. Fa eccezione, come prevedibile, l’Arabia Saudita, rivale storica dell’Iran nella regione. Raisi, sempre nel corso della conferenza stampa, ha chiesto a Riyad di porre fine alla sua ingerenza nella guerra civile yemenita. Una proposta che i sauditi non saranno mai disposti ad accettare: per i sauditi quella yemenita non è solo una questione di prestigio internazionale ma anche di sicurezza interna.

La risposta da parte di Riyad, per il momento, è stata sostanzialmente di snobbare Raisi e le sue dichiarazioni. Il ministro degli Esteri saudita, infatti, ha commentato che dal punto di vista dell’Arabia Saudita la politica estera iraniana è gestita dalla Guida suprema. Parole che, in maniera del tutto velata, mostrano come Raisi venga considerato dai sauditi come un fantoccio del Consiglio dei Guardiani e di Khamenei, più portavoce delle istanze degli ayatollah che effettivo capo dell’esecutivo.

Raisi sa che se vuole far rimuovere le sanzioni, passo necessario per consentire all’economia di crescere, non deve convincere solo Washington, ma anche i vicini arabi, Arabia Saudita in testa. Un’impresa per nulla facile, a partire dalla scarsa considerazione che i Paesi arabi del Golfo hanno verso la componente “laica” del governo rispetto agli ayatollah, considerati i soli detentori del potere. I sei anni di governo del moderato Rohani e il fallimento nel cercare di trovare un accordo sul programma nucleare iraniano, hanno senza dubbio rafforzato questo clima di diffidenza.

Non sorprende quindi che agli inizi di giugno, senza attendere l’esito delle elezioni in Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti abbiano organizzato il primo incontro bilaterale sul nucleare civile da parte delle rispettive agenzie per le energie. Appare evidente che, mentre l’agenda nucleare di Teheran continua ad essere ostacolata dalle pressioni internazionali e delle sanzioni, i due Paesi intendono allargare il gap il più possibile rispetto al vicino.

A rimarcare ulteriormente la freddezza con cui è stata accolta l’elezione di Raisi da parte degli Emirati Arabi Uniti, il ministro degli Esteri del nuovo governo israeliano sarà in visita ufficiale nel corso di questi giorni. Considerando che l’insediamento del nuovo governo di Tel Aviv risale a qualche settimana, la rapidità con cui è stata organizzata questa visita è la dimostrazione che Emirati Arabi Uniti e Israele intendono allacciare rapporti sempre più stretti continuando a percorrere a velocità ancora più sostenuta la strada tracciata dagli Accordi di Abramo. Una maggiore collaborazione con Israele non può che significare, dal punto di vista di Abu Dhabi, una speculare bocciatura verso l’Iran, soprattutto ora che il Paese è interamente a guida ultraconservatrice.

Nel complesso l’elezione di Raisi è stata accolta dai vicini Paesi arabi con uno scettico realismo. Persino il Qatar, Paese storicamente a cavallo tra i due blocchi di alleanze della regione e il più vicino all’Iran, per il momento non è andato oltre generiche dichiarazioni di congratulazioni verso il nuovo presidente. Eppure la situazione non è affatto statica come può al momento apparire.

Stavolta, sarà l’Iran a dover giocare le sue carte per cercare di non incappare in una crisi economica, politica e sociale dagli esiti imprevedibili. Raisi si ritroverà a giocare una partita molto intricata. Da un lato la sua elezione è stata accolta con favore (secondo diversi analisti, sostanzialmente spinta) da parte del Consiglio dei Guardiani, i quali ritengono che una piena comunione d’intenti tra il lato laico e quello “religioso” del potere porterà a un rafforzamento del regime dal punto di vista interno.

Al contempo, però, Raisi dovrà affrontare innanzitutto il clima di poca fiducia da parte della stessa opinione pubblica iraniana, dimostrata dalla scarsa affluenza alle urne. Per riuscirci, con ogni probabilità la sola via sarà rilanciare l’economia iraniana, ma per farlo Raisi dovrà convincere i partecipanti al tavolo di Vienna al punto da porre fine alle sanzioni. A rendere ancora più complessa la situazione è che Raisi dovrà riuscirci mantenendo, almeno formalmente, posizioni ancora più intransigenti rispetto a quelle del suo predecessore moderato Rohani: in caso contrario, Raisi si pregiudicherebbe l’appoggio dei suoi sostenitori e, soprattutto, si troverebbe definitivamente sbarrata la strada che potrebbe portarlo a diventare la Guida suprema.

Di fronte a tutti questi fattori d’incertezza, i governi dei Paesi arabi del Golfo hanno scelto un approccio prudente, che può apparire freddo ma che probabilmente nasconde una forte tensione su quanto il futuro dell’Iran a guida Raisi andrà a coinvolgerli.

Immagine: Ebrahim Raisi (29 aprile 2017). Crediti: Tasnim News Agency. Mahmoud Hosseini [CC BY 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/4.0)], attraverso Wikimedia Commons

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

Argomenti

#accordi di Abramo#Paesi arabi#Iran