Proteste e scioperi in Bolivia contro la decisione del Tribunale supremo elettorale di avallare una nuova candidatura di Evo Morales e di Álvaro García Linera, che attualmente ricoprono le cariche di presidente e vicepresidente, alle elezioni del 2019. Tra le sette candidature accolte anche quella dell’ex presidente Carlos Mesa (in ticket con Gustavo Pedraza) che ha definito la presa di posizione del Tribunale una «ferita mortale per la democrazia». Secondo le opposizioni la ricandidatura di Morales per un quarto mandato è illegittima e autorizzerebbe di fatto una sorta di ‘dittatura’ dell’attuale presidente, in carica dal 2006. Nel 2016 infatti si è tenuto un referendum per modificare la Costituzione laddove pone dei limiti alla rielezione delle più alte cariche dello Stato, che non è passato, sebbene con un esiguo scarto tra favorevoli e contrari. La Corte costituzionale ha tuttavia in seguito accolto un ricorso presentato dal MAS (Movimiento al socialismo), il partito di governo, secondo il quale il divieto a candidarsi ledeva i diritti umani di tutti i cittadini di eleggere ed essere eletti, senza che la corsa di Morales impedisse a chiunque altro di partecipare. Linera ha inoltre fatto notare come, dato lo scarto minimo registrato al referendum (51,3% di NO contro il 48,7% di SÌ), non si possa parlare di un’azione «contro il volere del popolo», e ha sottolineato come la figura di Morales sia un punto di riferimento fondamentale per il movimento popolare e la comunità indigena, senza la quale si affronterebbe un vero e proprio «suicidio politico».

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