È stata immediata la reazione della Russia all’annuncio fatto dal segretario di Stato Mike Pompeo il 1° febbraio della sospensione per sei mesi da parte degli Stati Uniti dell’accordo sulla non proliferazione delle armi nucleari in Europa (INF, Intermediate-range Nuclear Forces treaty); sabato 2 febbraio anche il presidente russo Vladimir Putin ha infatti comunicato il ritiro dell’adesione della Russia al trattato. La decisione statunitense di sospendere il trattato, cui seguirà formale notifica del ritiro definitivo entro sei mesi, è stata approvata anche dal segretario generale della NATO Jens Stoltenberg. L’INF era stato firmato nel 1987 da Ronald Reagan e Mikhail Gorbačëv a definitivo suggello della fine della guerra fredda e aveva consentito complessivamente la distruzione di 2692 missili di portata compresa tra i 500 e i 5500 km di gittata situati sul territorio europeo (non comprendeva i missili lanciati da aerei e quelli dal mare), senza contare il forte valore simbolico che esso assumeva, dopo decenni di ostilità e prove di forza. L’accordo prevedeva però un rigido sistema di controlli sul territorio per verificare che gli impegni venissero effettivamente rispettati, e gli Stati Uniti hanno più volte accusato la Russia di violazioni e di non aver tenuto fede alle condizioni concordate. La Russia d’altro canto respinge le accuse e sostiene che gli USA non hanno voluto ascoltare alcuna argomentazione né aprire una negoziazione perché avevano già deciso in ogni caso di ritirarsi. Putin ha dichiarato che verranno sviluppati nuovi missili, anche ipersonici, ma ha aggiunto che la Russia non intende schierare missili a corto e medio raggio che potrebbero colpire Paesi europei a meno che non siano gli Stati Uniti a farlo per primi. Suscita preoccupazione l’incognita delle ricadute sulla sicurezza europea delle nuove tensioni tra le due superpotenze.

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