Precipita la situazione in Venezuela dopo giorni di proteste contro Nicolás Maduro; il 23 gennaio Juan Guaidó, presidente dell’Assemblea nazionale e leader dell’opposizione, si è autoproclamato presidente ad interim finché non si terranno nuove elezioni democratiche, giurando pubblicamente sulla Costituzione nel corso di una manifestazione. Le consultazioni elettorali che avevano sancito la rielezione di Maduro, insediatosi l’11 gennaio per il suo secondo mandato, sono state infatti da più parti messe in discussione, con accuse di brogli e di illegittimità. Gli Stati Uniti, che da sempre contestano Maduro, hanno immediatamente riconosciuto e sostenuto la presa di posizione di Guaidó, seguiti dal Canada, Argentina, Brasile, Perù, Ecuador, Costa Rica, Paraguay e Cile; anche il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha manifestato la sua soddisfazione, mentre l’Unione Europea non ha espresso alcuna posizione ufficiale. Maduro però ha immediatamente chiamato a raccolta i suoi sostenitori, invitando il popolo a tenersi pronto alla mobilitazione per difendere la patria dai tentativi di golpe, ha esortato gli organi giudiziari a intervenire secondo la legge nei confronti dell’autoproclamato presidente e ha intimato ai diplomatici statunitensi di lasciare il Paese. Maduro sembra avere almeno per il momento l’appoggio dell’esercito, confermato dal sostegno del ministro della Difesa, il generale Vladimir Padrino López, che ha dichiarato che le forze armate non accettano un presidente imposto da oscuri “interessi”. Il Venezuela, devastato da una crisi economica senza precedenti, è ora un Paese spaccato e dilaniato, nel quale si susseguono manifestazioni e contromanifestazioni il cui bilancio già pesante di almeno tredici morti è probabilmente destinato a crescere.

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