Gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno dichiarato ufficialmente l’8 luglio la decisione di ridurre la loro presenza militare nello Yemen, prospettando un cambiamento di strategia e un passaggio dall’intervento militare verso una soluzione diplomatica e una composizione pacifica del conflitto. Già alla fine di giugno alcune fonti avevano diffuso l’intenzione da parte degli EAU di fare un passo indietro, soprattutto in relazione all’inasprirsi delle tensioni tra Stati Uniti e Iran, acuite dagli incidenti alle petroliere e dall’abbattimento del drone statunitense. Non è ancora del tutto certo in quale misura stia avvenendo il ritiro, che sarà comunque parziale: secondo fonti diverse i movimenti di truppe stanno interessando il porto di Aden e la costa occidentale yemenita, in particolare la base di Kokha, sul Mar Rosso, la base di Sirwah, nella regione centrale di Marib. Gli Emirati, un membro chiave della coalizione araba guidata dall’Arabia Saudita, che dal 2015 si oppone agli insorti Houthi, considerati vicini all’Iran, hanno dichiarato che non è comunque loro intenzione lasciare un «vuoto» nello Yemen e che le decisioni sono state prese in accordo con l’Arabia Saudita. Pur con tutti i limiti imposti dalla situazione complessiva, e quali che siano le reali motivazioni, la mossa degli Emirati potrebbe essere il primo passo di un percorso di diminuzione della tensione nell’area; gli Emirati, secondo Amnesty International, sono anche responsabili di rifornire illegalmente di armi milizie armate da loro stessi addestrate, ma che in realtà non rispondono a nessun governo e sono responsabili di numerosi crimini di guerra verso la popolazione civile.

Immagine: Dimostranti di Houthi (16 settembre 2018). Crediti: Naif Rahma/Reuters. Felton Davis [Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)], attraverso www.flickr.com