12 agosto 2022

A che punto è il caso Superlega?

Quando gli occhi saranno puntati sul Qatar, tre giorni prima della finale del Mondiale, la partita decisiva, quella che interessa di più alla UEFA, si disputerà in Lussemburgo. L’appuntamento è per il prossimo 15 dicembre, il terreno di gioco la Corte di giustizia dell’Unione Europea: quel giorno Athanasios Rantos, greco, classe 1953, avvocato generale presso la Corte, consegnerà ai giudici la relazione conclusiva del dibattimento che, l’11e il 12 luglio scorsi, ha visto le udienze della causa C-333/21, il caso Super League, insomma. Tecnicamente si tratta della domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Juzgado de lo Mercantil numero 17 di Madrid nella quale si danno battaglia European Super League Company S.L. (ESL), società di diritto spagnolo che si propone di modificare i paradigmi del calcio europeo, da una parte, UEFA e FIFA dall’altra: l’oggetto è, sostanzialmente, la compatibilità degli statuti della confederazione calcistica europea (soprattutto) e di quella mondiale con il diritto antitrust dell’Unione Europea, con gli articoli sulla concorrenza e sulla libertà di impresa del Trattato di funzionamento dell’Unione Europea (TFUE); si tratta di capire se le istituzioni apicali del pallone abusino della loro posizione dominante, in qualche modo di fatto monopolistica, in qualità tanto di organizzatori quanto di regolatori del carrozzone calcistico.

Breve riepilogo delle puntate precedenti: era l’aprile del 2021 quando, dopo anni di voci, dodici tra i più importanti, ricchi – e indebitati – club europei (le inglesi Arsenal, Chelsea, Liverpool, Manchester City, Manchester United e Tottenham Hotspur, le spagnole Atletico Madrid, Barcellona e Real Madrid, le italiane Inter, Juventus e Milan) uscirono allo scoperto presentando il progetto – nei loro comunicati una realtà già pronto a partire, ma non sarebbe stato affatto così – di un torneo europeo chiuso, con venti partecipanti (le dodici consorziatesi nella European Super League Company più altre otto), lautamente finanziato dal colosso statunitense JP Morgan. La rivoluzione, così come presentata, durò meno di tre giorni dal lancio, invero dilettantistico, al ritiro di nove delle dodici scissioniste, piegata, ma non spezzata, dalle proteste pretestuose e dal populismo di tifosi e media – si era creato un vasto fronte contrario al progetto, per certi versi non a torto – supportate dalla politica, chiamata in soccorso dal presidente UEFA Aleksander Čeferin e che ha avuto in Boris Johnson il principale alleato nel crepare e far crollare l’idea dei superleghisti. Superlega accantonata? Non esattamente. Placatosi il clamore della vicenda, mentre il caso veniva quasi derubricato a una patetica telenovela tra Čeferin e il presidente della Juventus Andrea Agnelli (uniti in precedenza da stretti rapporti personali), i principali propositori del progetto – Barcellona, Juventus e Real Madrid, con lo stesso Agnelli e il suo omologo madridista Florentino Pérez nel ruolo di frontman – hanno proseguito nel loro intento appunto portando la questione al Tribunale di Madrid, riuscendo prima a bloccare i procedimenti disciplinari e le sanzioni minacciate dalla UEFA nei loro confronti (e bloccando anche quelle, pur blande, nei confronti dei club che avevano abbandonato il progetto), quindi a portare il caso alla Corte di giustizia europea dove in ballo c’è molto più che una diatriba tra due entità che ragionano entrambe per i propri fini commerciali, né più né meno.

Ovviamente nella due giorni di udienze in Lussemburgo si è discusso molto di aspetti legali (European Super League soprattutto) e filosofici (UEFA). Quest’ultima rivendica per sé e solo per sé la salvaguardia dei valori di competizione europei. Donald Slater, uno degli avvocati del pool di Nyon, ha sostenuto che «in quanto organo di governo sportivo, la UEFA svolge le funzioni che le sono attribuite con imparzialità e perseguendo principi essenziali nello sport come lo sono nella società europea: che la competizione debba essere aperta a tutti e che il merito, non il denaro, debba determinare il risultato». Sotto accusa il progetto di competizione chiusa – peraltro modificato nelle versioni successive da European Super League, che ha proposto poi un format diverso – e l’ipotesi di un cambio di paradigma destinato a produrre il collasso dell’intero sistema così come conosciuto, «un esito disastroso per il calcio e la società europea», nelle parole di Slater. Le leggi antitrust dell’Unione prevedono la giustificazione di una posizione dominante nel caso questa venga considerata come obiettivamente necessaria, ed è a questo che punta la UEFA, confermandosi un attore politico in senso stretto nell’utilizzo di un richiamo sociale sostenuto dagli alleati di Nyon, ovvero quasi tutti i Paesi dell’Unione.

European Super League S.L. dal canto proprio ha avuto gioco facile nel sostenere come nessuna breakaway league sarebbe mai autorizzata dalla UEFA, il cui potere di autorizzare la disputa di partite e competizioni internazionali non è soggetto ad alcun tipo di limite né a una procedura oggettiva e trasparente, ma a un potere discrezionale derivato dal monopolio nell’organizzazione delle competizioni e gestione in esclusiva di rendimenti economici derivanti. Le sanzioni che la UEFA ha minacciato nei confronti dei club separatisti e dei rispettivi giocatori dimostrerebbero nella loro sproporzione, per ESL, l’imposizione di restrizioni ingiustificate con l’effetto di limitare la concorrenza in un mercato nel quale i club cedono i diritti commerciali delle competizioni sportive internazionali a cui partecipano all’organizzatore e gestore. Assistita, tra gli altri, dall’avvocato Jean-Louis Dupont, già noto per essere stato il legale dell’ex calciatore Jean-Marc Bosman nel caso concluso nel 1995 con la sentenza eponima, European Super League sa di aver portato la UEFA su un terreno scivoloso dal momento che, come è stato detto in udienza, condotte come quelle della UEFA sarebbero verosimilmente considerate un boicottaggio in qualsiasi altro ambito economico. La posta in gioco è altissima: se la corte dovesse accogliere le ragioni della UEFA, stanti le specificità che eventualmente dovessero essere concesse dato il suo operare in un settore peculiare come quello sportivo, è lecito supporre che la pronuncia diventerebbe un chiavistello nelle mani degli avvocati di chi, in altri settori, il monopolio magari se l’è visto togliere proprio dalle leggi dell’Unione Europea.

Un articolo di Andrea Circolo sulla Rivista della regolazione dei mercati (2021) aiuta a capire alcuni aspetti ulteriori: posto che la disciplina della concorrenza è applicabile alle sole imprese, la UEFA viene considerata dalla giurisprudenza un’associazione di imprese, «se è vero che, da un lato, l’esercizio del potere regolatorio da parte di UEFA e FIFA rappresenta un’attività ricollegabile alle prerogative di pubblici poteri, le quali non sono economicamente rilevanti e sono dunque esenti dalle regole dell’Unione sulla competitività, lo è, dall’altro, che tale circostanza “non impedisce, di per sé sola, di qualificarle come imprese”, qualora tali enti svolgano anche attività di tipo economico (…). Pertanto, pur avendo la FIFA e la UEFA il compito di regolare il gioco del calcio e di supervisionarne lo sviluppo in Europa e nel mondo, essi sono soggetti alla disciplina della concorrenza applicabile alle imprese quando organizzano competizioni per i club e per le rappresentative nazionali a livello internazionale».

Ora, l’avvocato generale Rantos relazionerà a metà dicembre (la data, stando alle fonti della Corte, dovrebbe essere il 15), quindi la palla passerà ai 15 giudici della Grande Camera: il parere di Rantos non sarà vincolante, ma statisticamente la Corte di giustizia europea accoglie la stragrande maggioranza delle valutazioni degli avvocati generali. La pronuncia della Grande Camera dovrebbe arrivare all’inizio del 2023 e sarà poi passata al Juzgado de lo Mercantil numero 17 di Madrid la cui sentenza sul caso terrà obbligatoriamente conto di quanto uscirà dalla Corte lussemburghese e potrebbe sconvolgere gli equilibri istituzionali del calcio non meno di quanto accadde con la sentenza Bosman, tenendo peraltro presente che UEFA e FIFA, al di là delle reciproche dichiarazioni di sostegno, sono esse stesse molto più in lotta di quanto non possa sembrare nella causa che in Lussemburgo le vede dalla stessa parte della barricata. Tra l’altro, fatte salve le dichiarazioni di abbandono del progetto Superlega di tutti i club originari a parte Barcellona, Juventus e Real Madrid, risulta che il progetto sia ancora vincolante per undici club che, formalmente, ne fanno ancora parte (tutti tranne l’Inter), e questo chiarisce più di ogni altro aspetto come, a prescindere dall’identità di chi continua ad esporsi, il caso Superlega sia seguito attentamente anche da diverse società dormienti che attendono solo di poter creare la propria versione, ancor più opulenta e garantita, della Champions League. Volendo, tutto si può ridurre a questo. Ma non è affatto un dettaglio.

 

Immagine: Maglie delle squadre della Super League europea, Barcellona, ​ Spagna (19 aprile 2021). Crediti: oasisamuel / Shutterstock.com

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata