La società statunitense Moderna ha annunciato, in anticipo rispetto ai tempi previsti, i risultati positivi dei primi test clinici del suo potenziale vaccino contro il Covid-19, che sta sviluppando in collaborazione con il NIAID, (National Institute of Allergy and Infectious Diseases) guidato dal virologo Anthony Fauci.

Moderna ha riferito che otto volontari, a cui era stato somministrato il vaccino in dosi basse e medie, hanno sviluppato livelli ematici di anticorpi uguali o superiori a quelli dei pazienti guariti. Inoltre il vaccino appare finora ben tollerato, a parte un arrossamento in un caso nel punto di iniezione e alcuni sintomi non rilevanti nelle persone a cui sono state somministrate le dosi più alte. Stephane Bancel, amministratore delegato di Moderna, ha manifestato la sua soddisfazione perché «per prima cosa il vaccino è risultato generalmente sicuro».

Il successo della fase 1 in cui si valuta appunto la sicurezza e la tollerabilità del prodotto, ha portato a una accelerazione per quanto riguarda la fase 2, in cui si indaga sull’azione profilattica del vaccino, e la fase 3 in cui si cercherà di stabilire in modo esatto il dosaggio migliore. Nelle prossime sperimentazioni sarà coinvolto un numero molto superiore di volontari, seicento per la seconda e un numero ancora più alto per la terza, che inizierà a luglio.

La speranza è quella di avere a disposizione al più presto, entro l’anno o nei primi mesi del 2021, un vaccino pronto per essere somministrato. Non sono state specificate le quantità di vaccino che saranno disponibili, ma Tal Zack, il capo dello staff medico di Moderna, ha assicurato «stiamo facendo del nostro meglio perché siano quanti più milioni è possibile». Il vaccino che si sta sperimentando viene denominato mRna-1273 e ha delle caratteristiche comuni con quelli codificati contro MERS e SARS, avendo come composto principale il complesso proteico S.

Moderna è una società di biotecnologie fondata nel 2010 con sede a Cambridge nel Massachusetts; dietro i suoi sforzi c’è anche il pieno sostegno del governo degli Stai Uniti. Nonostante le buone dichiarazioni di principio che erano state enunciate poche settimane fa, la competizione per arrivare per primi al vaccino ha assunto una forte caratterizzazione di scontro egemonico e gli sforzi non sembrano unificati.

L’università di Oxford sta portando avanti una sperimentazione a cui collabora l’azienda italiana IRBM, con sede a Pomezia. Se tutto andrà bene, l’azienda inglese AstraZeneca potrebbe iniziare la produzione a settembre; il governo inglese ha già prenotato 30 milioni di dosi. Anche sulle priorità di utilizzo delle prime dosi di vaccino sembra che si sia sviluppata una sorta di corsa alle prenotazioni; il Paese che per primo si metterà in sicurezza avrà infatti un vantaggio strategico nella competizione economica che inevitabilmente accompagnerà la ripartenza successiva all’epidemia.

Naturalmente sarebbe auspicabile che i criteri di precedenza nell’accesso al vaccino privilegiassero le categorie di persone più esposte o più fragili nei confronti del contagio. Il presidente cinese Xi Jinping ha auspicato che il vaccino diventi un bene comune globale e che possa essere nei fatti disponibile anche per i Paesi in via di sviluppo. I ritardi della Cina nel diffondere l’allarme continuano però ad essere al centro di polemiche e accuse. Donald Trump ha minacciato di rendere definitivo il suo distacco dall’OMS, interrompendo quindi i finanziamenti degli Stati Uniti, se questa non dimostrerà la sua «indipendenza dalla Cina». Competizione fra nazioni, interessi economici e giochi politici interni stanno di fatto influenzando anche la sfida per il vaccino, che, teoricamente, dovrebbe vedere l’umanità tutta cooperare contro il Covid-19.

Immagine: donna in un laboratorio di analisi. Crediti: pubblico dominio.

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