I social network, l’approssimarsi di una data simbolica, una citazione innanzi al giudice di pace che, a prescindere dalla vaga sensazione di inopportunità che lascia, si rivela un clamoroso e inaspettato boomerang mediatico per una società sportiva e un formidabile volano per un’istanza storica: il caso della pallavolista Lara Lugli, scoppiato alla vigilia dell’8 marzo quando l’atleta ha pubblicato su Facebook l’atto di citazione nei suoi confronti da parte del Volley Pordenone (oggi Maniago Pordenone), ha portato in agenda, attraverso un’eco straordinaria, un tema mai risolto nello sport italiano, vale a dire quello delle tutele e dei diritti delle atlete in gravidanza.
I fatti, in breve: la vicenda risale a tre anni fa quando Lugli, pallavolista carpigiana classe 1980 in forza nel campionato di B1 2017-18 alla società friulana, scopre di essere incinta nel corso della fase cruciale della stagione e finendo per chiudere anzitempo l’annata per l’interruzione dell’accordo stipulato con il club, prassi comune nel dilettantismo. Tre anni più tardi, la ragazza invia alla società l’ingiunzione di pagamento relativa all’ultimo mese disputato e si vede recapitare la citazione per danni dalla controparte. L’udienza davanti al giudice di pace si terrà il prossimo 18 maggio, ma il post social di Lugli ha avuto un effetto dirompente, molto più delle numerose campagne che, negli anni, hanno cercato di portare l’argomento a conoscenza di un pubblico più vasto rispetto a quello degli addetti ai lavori su una battaglia relativa ad un diritto, una battaglia complessa e ricca di sfaccettature. Il caso Lugli ha fatto breccia e allora, al di là del caso specifico, vale la pena ricostruire il perimetro di uno dei tanti vulnus relativi allo sport femminile in Italia.
Si tratta di un tema legato a doppio filo con una legge vecchia esattamente di quarant’anni, la 91/81, che da allora norma lo sport italiano in tema di professionismo e dilettantismo, escludendo di fatto lo sport femminile dalla prima fattispecie. La recentissima riforma dello sport ‒ che ancora deve essere pubblicata in Gazzetta Ufficiale ‒ emenda in parte l’impianto, ma di fatto per quattro decenni quello è stato il riferimento e così, dove non c’è professionismo, vengono di conseguenza a mancare tutte le tutele e gli ammortizzatori previsti invece dove viene riconosciuto ‒ da parte delle federazioni alle quali lo status è demandato ‒ il professionismo. Calcio, pallacanestro e ciclismo (in tutti e tre i casi, non l’intero movimento) e golf sono professionisti, ma solo nel settore maschile. Le donne? Dilettanti. Tutte.
Va da sé come, a prescindere dalle tutele previdenziali e professionali e dagli aspetti fiscali tipici dei contratti di lavoro sportivo, le atlete professioniste de facto ma dilettanti de iure per decenni si sono trovate a dover scegliere tra maternità e carriera sportiva, perché la prassi consolidata nelle scritture private tra atlete e associazioni sportive era quella di annullare l’accordo in caso di maternità, esattamente come nel caso Lugli. Per pallavoliste, cestiste e atlete degli sport di squadra in generale è sempre stato così, una situazione però non identica per atlete di discipline differenti, e qui entra in campo anche un’altra tipicità tutta italiana, quella della presenza dei gruppi sportivi militari e dei Corpi dello Stato che, regolarmente, reclutano per concorso atleti ed atlete di interesse nazionale (definizione palesemente interpretabile) nelle più disparate discipline olimpiche, inquadrando quelli che sono sostanzialmente atleti di Stato ‒ agenti nelle divise e nelle insegne, non nei compiti, analogamente a quanto accadeva nei Paesi del blocco sovietico ‒ all’interno di contratti di arruolamento in ferma provvisoria rinnovabile. Contratti che, per quanto riguarda le donne, tutelano la maternità creando una ulteriore disparità di trattamento, ad esempio, proprio nei confronti delle colleghe pallavoliste, cestiste o calciatrici le cui discipline non rientrano in quelle praticate dai gruppi. In questo senso ecco allora l’ulteriore divisione a monte anche fra atlete ed atlete ‒ gli atleti militari possono mantenere anche il tesseramento con un club civile ‒ riguardante maternità, contributi previdenziali e tutele tipiche di altri contratti nazionali.
Ora, la gravidanza non è un infortunio, ma nel multiforme mondo del dilettantismo ‒ anche in quello maschile ovviamente ‒ un infortunio subito ai fini della pratica sportiva sociale non prevede (in genere, ma i casi contrari non mancano) l’interruzione del rapporto, la gravidanza sì, ed è per questo che più volte alcune associazioni, prima fra tutte Assist, l’associazione nazionale atlete, hanno promosso campagne di sensibilizzazione sul tema. Una del 2017, intitolata Atlete per il diritto della maternità e il cui slogan era “diritti game over”, finì sui giornali per la scelta iconografica di far scendere in campo le giocatrici di alcune squadre di basket, volley, calcio e futsal con un pallone nascosto sotto la maglia, a mo’ di pancione ‒ per solidarizzare con il caso Lugli, il gesto è stato riproposto nei giorni scorsi da alcune squadre di pallavolo, ma non si è trattato di una provocazione nuova ‒ e mosse finalmente le acque contribuendo all’ottenimento di un primo risultato significativo dopo anni segnati dal totale disinteresse al tema.
Sebbene passato quasi sotto silenzio, nella legge di bilancio 2018 (la 205 del 27 dicembre 2017), il comma 369 dell’art. 1 che istituiva il “Fondo unico a sostegno del potenziamento del movimento sportivo italiano” prevedeva, alla lettera d, tra le destinazioni delle risorse «sostenere la maternità delle atlete non professioniste» per un importo a fondo perduto di 3 milioni per il 2018 e un milione di euro ogni anno a partire dal 2019, come chiarito nel successivo dpcm sull’accesso alle risorse. Ora, la misura ‒ ben delineata e ottimamente normata proprio per venire incontro al dilettantismo (escluse dal beneficio sono le ragazze che vantano redditi derivanti da altra attività per importi superiori a 15.000,00 euro lordi annui e le atlete appartenenti a gruppi sportivi militari e altri gruppi che tutelano la maternità) ‒ ha rappresentato una pietra miliare, eppure da allora meno di quaranta atlete hanno approfittato di un’opportunità da 1.000 euro al mese per un massimo di dieci mesi. Fu relativamente poco pubblicizzata ‒ nonostante l’ingaggio governativo, quale testimonial, di Eleonora Lo Bianco, una delle pallavoliste più vincenti del movimento azzurro: “Mamme e campionesse, ora si può”, era il claim della campagna ‒ e di certo, dati i numeri, è ipotizzabile che le stesse società non abbiano dato risalto all’iniziativa né si siano premurate di informare le atlete.
Peraltro, a proposito di paradossi, il fondo è a carico della fiscalità generale e va ad intervenire all’interno di un sistema ‒ quello dilettantistico creato dalla 91/81 appunto, in un ecosistema sportivo diversissimo da quello attuale ‒ che non prevede contributi fiscali per atlete e atleti: da un lato è del tutto logico che sia così, dall’altro però anche nella filigrana di questa considerazione vi si possono leggere tutte le contraddizioni del dilettantismo di élite, spesse volte un professionismo mascherato e non scevro da esasperazioni nascosto da una giungla di accordi, scritture private, prassi discutibili e persino dalla pratica dei pagamenti in nero. Un universo nel quale nelle stesse categorie magari coesistono società con approcci, pratiche e giri economici non paragonabili e nel quale in realtà, in casi rari ma encomiabili, esistono pure club che a loro modo la maternità delle loro atlete la sostengono.
Ora, le buone notizie del caso Lugli sono la clamorosa pubblicità data al tema e alla presenza del fondo, del quale verosimilmente sono venute a conoscenza diverse sportive, ma il cambiamento di leggi e norme necessita di gradualità e tempo, nonché di un approccio di sistema e non a spot, in attesa di verificare concretamente dove e in che modo la riforma dello sport supererà la disciplina ancora in vigore.
Immagine: Giocatrice di pallavolo con palla tra le mani. Crediti: PhotoProCorp / Shutterstock.com
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