I fantasmi di genitorialità imponderabile animano le rivalità edipiche di tanti fratelli maggiori, pronti a rivelare ai più piccoli di casa la loro natura di trovatelli, e l’inquietudine degli adolescenti adottati alla ricerca spesso frustrata di legami biologici.
D’altra parte lo svelamento della paternità – o più in generale dell’identità – è classico topos letterario: Aristotele codifica l’ agnizione nella sua Poetica e in tanti lo sfruttano, da Plauto , nelle cui commedie i sogni d’amore sono realizzati dalla provvida scoperta di natali insospettati, passando per le Nozze di Figaro mozartiane fino alla dirompente rivelazione di Dart Fener a Luke in Guerre stellari . La domanda sulle proprie origini terrene è connaturata all’essere umano, ma i dubbi correlati oggi possono essere dissolti dalla tecnologia, con un costo di neanche 200 euro e qualche giorno di attesa: il test di paternità è stato in grado di mandare in pensione il millenario detto mater semper certa pater numquam e di creare un nuovo immaginario. Nipote del modello strutturale del DNA pubblicato nel 1953 da Franklin, Watson e Crick e figlio della tecnica della reazione a catena della polimerasi approntata nel 1983 da Mullis, il test di paternità permette di comparare la lunghezza di alcune sezioni variabili del DNA ripetitivo, il cosiddetto Junk DNA: la distribuzione di tale variabilità biologica è a tratti identica per chi condivide il 50% del patrimonio genetico come padre e figlio, e statisticamente per pochissimi altri individui al mondo. Niente più patetiche fughe di padri biologici menefreghisti: in Italia l’orientamento giurisprudenziale è quello di basarsi sul test per il riconoscimento o disconoscimento di paternità, attribuendola agli interessati che rifiutano di sottoporsi alla prova. I media raccontano l’innovazione e se ne nutrono, a volte in modo distorto. Guardate cosa succede in questo talk americano, The Steve Wilkos Show, omonimo del collerico ex marine di Chicago che lo conduce: un reality con il test di paternità che diventa protagonista, i risultati sono svelati in real time tra diretti interessati e pubblico fremente. Bambini più o meno contesi in primo piano, coppie poco leali che litigano su presunti tradimenti avvenuti anni prima, il gongolante Steve apre la busta con il responso e sancisce che il piccolo è figlio dell’amante, presente in studio. Urla, litigi, fughe; altre volte i drammatici verdetti di non paternità sono accolti con esultanza da stadio da un uomo molto preoccupato dall’assegno da sganciare e poco del bambino in lacrime, o con insulti e apotropaici gesti di scherno. Lo vedremo anche da noi? Forse la nostra cultura greco-romana ce ne metterà al riparo, ma la scarsa attenzione alle delicate questioni etiche è un vizio anche nostrano. Ad esempio in diverse agenzie di stampa e testate , anche prestigiose , appare un dato statistico sorprendente: in Italia un bambino su dieci, o addirittura uno su cinque, sarebbe figlio illegittimo. Ciò che non si dice chiaramente in questi articoli è che il dato non si riferisce all’intera popolazione, ma ai casi in cui un padre si rivolge ai laboratori specializzati, mosso quindi da un sospetto che non poche volte si rivela fondato. Quest’aspetto rimane nebuloso o assente negli articoli, mossi forse da giornalisti frettolosi e genetisti in cerca di pubblicità, col risultato di gettare sospetti sull’autenticità delle famiglie e sulla condotta delle madri; in barba a un’intera, serissima categoria professionale.