«Non è in discussione il valore dell’iniziativa ma si tratta di una questione politica e non possiamo autorizzare direttamente una scritta del genere. Di una questione di questo tipo si dovrebbe occupare direttamente il Consiglio federale». Così la Lega calcio, come riporta il Corriere della sera del 31 agosto 1993, boccia la richiesta del Foggia Calcio. Tutto nasce qualche giorno prima dalla volontà della squadra pugliese, ancora senza sponsor, di scendere in campo per la prima di campionato, domenica 29 agosto all’Olimpico contro la Lazio (la prima del nostro calcio ad essere trasmessa in pay-tv), con la scritta ‘Pace in Bosnia’ sulle maglie. Sono i giorni in cui il conflitto nell’ex Iugoslavia attende la ripresa dei negoziati all’ONU. Il no della Lega calcio al Foggia scuote il calcio italiano. Antonio Matarrese, all’epoca presidente della Federcalcio, dirà: «Noi non siamo stati neppure informati, quindi non abbiamo nessun tipo di rimorso». «Se fossi stato io il presidente federale l’iniziativa sarebbe stata approvata», ribadisce Sergio Campana, presidente dell’Associazione italiana calciatori. «Nulla di provocatorio ‒ racconta qualche giorno dopo al Corriere della sera l’allora amministratore unico della società pugliese, Giuseppe Armillotta, che aveva mandato la richiesta via fax ‒ solo il desiderio di condividere un’invocazione che fa anche il Papa». Alla Lega, però, non la pensano allo stesso modo e così liquidano in poche righe la vicenda provando a scaricare la decisione sul Consiglio federale, ma non c’è tempo per convocarlo. Quella richiesta “nata per caso”, come racconta sempre al Corriere il segretario del Foggia Sergio Canuti, diventa un caso politico tanto che la settimana successiva nel capoluogo dauno arriva, sollecitata dai referenti del partito locale, Emma Bonino, allora segretaria del Partito radicale transnazionale, per tenere una conferenza stampa e sostenere le ragioni dei rossoneri. Domenica 5 settembre il messaggio, bocciato solo una settimana prima sulle maglie, campeggia sugli spalti della gradinata dello stadio Zaccheria di Foggia, dove in tribuna fa capolino Bonino accanto ai dirigenti della squadra e ad Arrigo Sacchi, allora CT della Nazionale. ‘Grazie Foggia, Bosnia libera. Partito Radicale’, recita lo striscione approvato dalla Lega calcio. Poco più in là, come documenta un filmato amatoriale, spunta un più piccolo e anonimo ‘Bosnia libera’. Il Foggia troverà poi uno sponsor per la maglia, ma intanto l’iniziativa della squadra di Zdeněk Zeman non è di certo passata inosservata.

In quel periodo siamo lontani dalle maglie delle squadre come le conosciamo oggi, dove gli sponsor hanno conquistato sempre più spazio. Nel corso degli anni, infatti, le maglie sono diventate oltre che un oggetto di culto un potente strumento di marketing, ma sono le sottomaglie ad essere finite spesso sotto i riflettori perché alcuni giocatori le hanno usate come lavagne per lanciare i più diversi messaggi ai tifosi sia sugli spalti che a casa. Lo ha fatto, ad esempio, Cristiano Lucarelli quando sotto la casacca della Nazionale U21 ha indossato una maglia con l’immagine di Che Guevara. È il 27 marzo 1997 e Lucarelli, dopo aver segnato contro la Moldova, si sfila la maglia azzurra mostrando quella con il volto del Che. «È evidente che so bene chi sia Guevara, ‒ si giustificherà Lucarelli con il quotidiano la Repubblica ‒ ma in questo caso è soltanto il simbolo degli ultrà livornesi e io per quello avevo addosso la sua faccia, non per dare un messaggio politico». «Non è stato un gesto politico e dunque non drammatizziamo (?); che nessuno lo imiti, però. Mai», tiene a precisare l’allora presidente federale Luciano Nizzola. «Non si fa. Lucarelli non verrà punito, ‒ spiega ancora ‒ il suo gesto va capito anche se non giustificato: voleva esultare con i suoi tifosi, che ci fosse il Che sulla maglia è un caso, perché il Che è il simbolo dei tifosi livornesi. Ci fosse stato papa Giovanni, sarebbe stata la stessa cosa». Il monito è chiaro: tenere la politica lontano dai campi da gioco.

Più recentemente abbiamo visto in Bundesliga Jadon Sancho, giocatore del Borussia Dortmund, dopo un gol, esibire la sottomaglia con la scritta ‘Justice for George Floyd’ per ricordare l’uomo afroamericano ucciso da un agente di polizia il 25 maggio 2020 durante un arresto a Minneapolis, in Minnesota. Il gesto, però, è costato un cartellino giallo al giocatore che, dopo la partita, ha scritto su Twitter: «Non dobbiamo temere di parlare per ciò che è giusto, dobbiamo unirci come una cosa sola e lottare per la giustizia. Siamo più forti insieme!». A giugno i giocatori della Premier League sono scesi in campo, nel primo turno dopo il lockdown, con la scritta ‘Black Lives Matter’ sulla maglia al posto del cognome riprendendo così la campagna promossa dal movimento nato negli USA contro la discriminazione razziale e gli abusi da parte della polizia nei confronti della comunità afroamericana. In Italia sono stati i nigeriani Victor Osimhen del Napoli e Simy Nwankwo del Crotone a mostrare, dopo aver segnato rispettivamente contro Atalanta e Juventus il 17 ottobre scorso, la scritta che condanna l’uso della forza da parte della polizia nigeriana: ‘#Endpolicybrutality in Nigeria’ si legge sulle loro maglie.

«Il fatto che il condivisibile gesto di Osimhen e Simy ‒ spiega Nicola Sbetti, storico dello sport ‒ non sia stato sanzionato potrebbe rappresentare un precedente e favorire un ritorno dell’attivismo degli sportivi anche nel nostro Paese, o quantomeno un ritorno a quei messaggi (non per forza politici) tanto in voga sulle sottomaglie dei calciatori non più di un decennio fa. Andrebbe però appurato se è il frutto di una nuova interpretazione più permissiva che tiene conto dell’impatto ottenuto dal movimento Black lives matter sullo sport americano e globale o se invece si è semplicemente trattato di scarsa attenzione da parte di arbitri e giudice sportivo».

Non solo la politica o i diritti umani sono arrivati dalle maglie dei giocatori. Lo sa bene Francesco Totti che il 10 marzo 2002, dopo il gol segnato contro la Lazio, mostra verso la tribuna la sottomaglia con il messaggio ‘6 unica’, rivolto alla sua fidanzata Ilary Blasi. Non è un messaggio d’amore, ma un tributo a chi ha scritto anche versi d’amore quello promosso dal Ravenna Calcio in serie C. Quest’anno la squadra romagnola ha deciso di celebrare i 700 anni della morte di Dante Alighieri con una maglia celebrativa. Sulla prima divisa ufficiale campeggia il profilo del Sommo poeta. Sviluppata con lo sponsor tecnico Macron, l’immagine parte dallo storico ritratto di Botticelli richiamando la street art e un murales dell’artista Eduardo Kobra. ‘Grazie Mandrà’, invece, è il messaggio con cui la Roma è scesa in campo contro il Genoa lo scorso 8 novembre per ricordare Gigi Proietti, il regista e attore tifoso giallorosso scomparso pochi giorni prima. Se, come dice lo stilista Giorgio Armani, «l’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare», di certo le maglie viste sui campi da gioco hanno lasciato un segno nella storia del nostro calcio.

Immagine: Maglietta sportiva con la scritta ‘Black Lives Matter’. Crediti: Vach cameraman / Shutterstock.com

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