17 marzo 2023

Cos’è l’ansia climatica e cosa comporta?

 

Tutti o quasi sappiamo cos’è la meteoropatia, l’insieme di disturbi di natura fisica e psichica provocati dalle variazioni del tempo meteorologico e dai cambiamenti legati al passare della stagioni. Il clima influenza inevitabilmente il nostro corpo e il nostro stato d’animo:  un  legame cui nessuno può sottrarsi, sebbene ci sia chi è più predisposto al disagio che ne consegue. Tuttavia, in questi ultimi anni, dichiararsi meteoropatici può sembrare un atteggiamento d’altri tempi. Perché i “vecchi” ritmi stagionali nella zona temperata del pianeta (la nostra) sono sempre più imprecisi e ovunque la frequenza e l’intensità di pioggia, neve, freddo e caldo appaiono alterate. Cosicché, per essere al passo con i tempi del surriscaldamento globale e del climate change, oggi, purtroppo, rischia di andare per la maggiore l’ecoansia o ansia climatica.

Definita per la prima volta in inglese come eco-anxiety, non è uno dei tanti neologismi trendy che attraversano i cieli della cultura pop. Semmai è entrata a far parte della letteratura scientifica: indica la preoccupazione o l’ansia cronica determinate dal destino ambientale del pianeta, sconvolto dai cambiamenti climatici. È un problema così pratico, e per nulla teorico, che sul magazine on-line dell’Humanitas Research Hospital, gruppo privato ospedaliero e di ricerca milanese, è stato dedicato un articolo alla questione: si intitola Eco ansia o ansia climatica: cos’è e come riconoscerla e riporta le considerazioni di Giampaolo Perna, professore ordinario di Psichiatria all’Humanitas University.

Il professore spiega che tra i fattori che sembrano esporre maggiormente ai sintomi dell’ecoansia, con ripercussioni sul benessere emotivo e psicologico, ci sono «la giovane età», l’«impegno attivo nei confronti della crisi ambientale» (vengono in mente i ragazzi che manifestano per chiedere agli Stati interventi che fermino il climate change), il fatto di «lavorare nell’ambito della sostenibilità» ecologica e l’«ampia esposizione mediatica» (a proposito di quest’ultima sovviene la correlazione col doomscrolling, disturbo legato alla ricerca ossessiva di notizie ansiogene). I sintomi più comuni sono ansia, tensione, difficoltà nelle relazioni, insonnia, dettati anche dal timore di essere corresponsabili del degrado ambientale e dal pensiero fisso su questo problema. Si può provare la solastalgia, percezione ansiogena della mancanza di un futuro a causa dei disastri ambientali sempre più frequenti (il neologismo, coniato nel 2015 dal filosofo australiano Glenn Albrecht, deriva da solace e nostalgia, quindi nostalgia del conforto). Chi soffre di ecoansia può anche arrivare a decisioni estreme, come la scelta di non fare figli.

«Nel caso di disastri naturali, che possono essere dovuti o meno a eventi climatici estremi causati dal riscaldamento globale», spiega lo psichiatra, «le conseguenze sulla salute mentale possono durare nel tempo e manifestarsi anche con sintomi di stress post-traumatico». Capita ovviamente a chi è direttamente vittima dei disastri, però questi disturbi possono ripercuotersi anche su chi soffre di ansia climatica. Certo, è giusto non restare indifferenti nei confronti del futuro del nostro pianeta, tuttavia, consiglia il professore, se «i sintomi di ansia associati ai temi ambientali arrivano a paralizzare la vita di una persona o diventare un’ossessione che assorbe totalmente tempo ed energie, è fondamentale parlarne in famiglia o con gli amici, ridurre l’esposizione ai media durante la giornata e rivolgersi a uno psichiatra/psicologo».

Certamente è legittimo chiedersi, come ha fatto Claudia Bellante ne Il Tascabile di Treccani , se questo genere di ansie siano un lusso che possono permettersi soltanto coloro che vivono in società ricche o benestanti, visto che altrove i problemi percepiti come urgenti sono ben altri. Ed è vero che la salute mentale non dovrebbe essere «appannaggio esclusivo di coloro che vivono nei paesi sviluppati del Nord globale» (lo ha detto a Bellante la professoressa Mala Rao, del dipartimento di Assistenza primaria e Salute pubblica dell’Imperial College di Londra). In effetti una ricerca, pubblicata nell’agosto del 2021 e svolta da cinque scienziati australiani, cita proprio la questione delle differenze tra le società ricche e le altre, rilevando che «la maggior parte delle prove proviene dai paesi occidentali [...]. Sono necessarie ricerche future nei paesi non occidentali. Le popolazioni indigene, i bambini, i giovani e coloro che sono legati al mondo naturale sono i più colpiti dall’ansia ecologica e sono identificati come vulnerabili».

Resta il fatto che nelle nostre società di stampo occidentale il problema esiste, nonostante ci sia un accesso privilegiato alle cure in questo campo, come in molti altri, rispetto al cosiddetto Sud del mondo. Così l’indagine sull’eco-anxiety è al centro di ricerche serissime. Il primo studio globale sull’ecoansia tra adolescenti e giovani ‒ e sulla sua relazione con la risposta da parte dei governi di fronte all’emergenza ‒ è quello pubblicato nel settembre 2021 da dieci ricercatori di Regno Unito, Stati Uniti e Finlandia. Hanno indagato lavorando su un campione di 10.000 volontari tra 16 e 25 anni di età, residenti in dieci Paesi (Regno Unito, Finlandia, Francia, Australia, Portogallo, Brasile, India, Filippine, Nigeria e Stati Uniti). Il presupposto di fondo è stato questo: «Il cambiamento climatico ha implicazioni significative per la salute e il futuro di bambini e giovani, ma questi hanno poco potere per limitarne i danni, rendendoli vulnerabili all’aumento dell’ansia climatica. Studi qualitativi mostrano che l’ansia climatica è associata a percezioni di azioni inadeguate da parte di adulti e governi, sentimenti di tradimento, abbandono e danno morale».

Il risultato della ricerca? «Gli intervistati erano preoccupati per il cambiamento climatico (59% molto o estremamente preoccupato, 84% almeno moderatamente preoccupato). Oltre il 50% si sentiva triste, ansioso, arrabbiato, impotente e colpevole. Oltre il 45% ha affermato che i propri sentimenti riguardo al cambiamento climatico hanno influenzato negativamente la vita quotidiana personale e il suo funzionamento; molti hanno riportato un numero elevato di pensieri negativi sul cambiamento climatico. Gli intervistati hanno valutato negativamente la risposta del loro governo al cambiamento climatico e hanno riferito maggiori sentimenti di tradimento che di rassicurazione. Le correlazioni hanno indicato che l’ansia e il disagio legati al clima erano significativamente correlati alla percezione di una risposta inadeguata del governo e ai sentimenti di tradimento associati».

Lo studio scientifico più recente, pubblicato a dicembre 2002, è stato svolto da 43 scienziati, intervistando quasi 13.000 persone in 32 Paesi di tutti i continenti, anche al di fuori del mondo benestante: per esempio, Italia, Brasile, Cina, Colombia, Australia, Egitto, Finlandia, India, Iran, Russia, Nigeria, Palestina, Turchia e Uganda. I risultati «mostrano che l’ansia climatica è positivamente correlata al tasso di esposizione alle informazioni sugli impatti del cambiamento climatico, alla quantità di attenzione che le persone prestano alle informazioni sul cambiamento climatico e alla [...] risposta emotiva al cambiamento climatico». Gli effetti dell’ecoansia climatica sul benessere mentale sono stati considerati negativi in 31 Paesi su 32. Insomma, a livello internazionale, a prescindere dal grado della qualità della vita nelle aree coinvolte, «le emozioni negative legate al clima» sono considerate «una possibile minaccia al benessere».

Per quel che riguarda l’Italia, la ricerca appena citata mostra che il 25,2% degli intervistati si dichiara “molto o estremamente teso”, il 23,8% “molto o estremamente ansioso”, il 45,6% “molto o estremamente preoccupato”, il 24,1% “molto o estremamente terrorizzato”. Uno studio precedente (agosto 2021), svolto nell’ambito del dipartimento di Scienze della salute dell’Università di Firenze, conferma che il climate change sta avendo un impatto anche sulla salute mentale degli italiani. «Per questi motivi», si legge nelle conclusioni, «è fondamentale disporre di una misura dell’ansia da cambiamento climatico in Italia, al fine di affrontarne adeguatamente l’impatto psicologico». Nell’attesa, la ricerca scientifica offre agli ecoansiosi anche una scappatoia positiva. Un’indagine australiana, pubblicata a marzo del 2021, svela che sperimentare l’ecorabbia produce migliori risultati sul fronte della salute mentale rispetto all’ecoansia e favorisce un maggiore impegno nell’attivismo pro clima e anche nei comportamenti personali. Insomma, l’ecorabbia costruttiva protegge in modo inequivocabile sia l’ambiente che il benessere personale. In parole povere, il concetto potrebbe essere tradotto con questo slogan: “L’ambiente è in pericolo, insieme al tuo futuro? Non stressarti, arrabbiati. E passa all’azione!”.

 

Immagine: Bambina seduta sulla terra incrinata dalla siccità. Crediti: seamind224 / Shutterstock.com

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