08 aprile 2013

I 'giovani anziani' e i 'tardo-adulti'

Ormai bisogna misurare bene le parole (e gli anni) quando ci si avventura nel complesso campo della suddivisione delle fasce d’età: le categorie di ‘giovane’, ‘adulto’, ‘anziano’, già di per sé un po’ scivolose e labili, sono state dichiarate ufficialmente insufficienti dai demografi alla luce dei mutamenti intercorsi negli ultimi decenni e del cospicuo aumento dell’età media della popolazione. Se negli anni Cinquanta l’aspettativa di vita era di 60 anni per gli uomini e di 65 per le donne, attualmente si parla rispettivamente di 80 e 85 anni; un sessantenne che 50 anni fa sarebbe stato senza esitazioni definito anziano ha davanti a sé ancora circa 20 anni e non si percepisce affatto ‘vecchio’. Al contrario, si prepara ad affrontare una stagione della vita che può essere di grande libertà personale e di soddisfazioni lavorative, senza più lo stress di crescere i figli o dover fare carriera; e sono ormai tutt’altro che rare le separazioni tra gli over 60. La stessa fase della maturità si è di conseguenza espansa temporalmente, arricchendosi di nuove sfumature, anche a causa di mutamenti sociali complessi: è aumentato il numero delle persone che entra nel sistema scolastico e il tempo che vi permane e in generale si è allungata la fase della vita dedicata alla formazione, come è cresciuta la percentuale dei figli che permangono più a lungo nella casa dei genitori. Ecco allora che dopo l’infanzia e l’adolescenza i demografi hanno sentito la necessità di introdurre nuove distinzioni: ci sono i giovani (21-25 anni) e i giovani adulti (26-34), gli adulti tout court (35-54) e i tardo-adulti (55-64); l’ultima fase della vita comprende l’apparente ossimoro dei ‘giovani anziani’ (65-75), gli ‘anziani’ veri e propri (76-84) e i ‘grandi anziani’ (85 e oltre). Le fasce d’età sono dunque diventate 9, a meno che in futuro di centenari non si rendano necessari nuovi aggiustamenti.