In Italia l’amianto è stato ampiamente utilizzato nell’edilizia, nella produzione di tessuti incombustibili, nell’isolamento elettrico e termico a partire dalla metà degli anni Quaranta e fino alla fine degli Ottanta, e il nostro Paese ne è stato anche un grande produttore: tra il 1945 e il 1992 ne sono state prodotte 3,7 milioni e importate 1,9 milioni di tonnellate. La legislazione che ne ha vietato l’uso risale agli anni Novanta (l. 257/1992) ed è stata introdotta molto dopo che di tale minerale fosse stata comprovata la cancerogenicità; benché infatti tra l’esposizione all’amianto e l’insorgenza della malattia trascorra un tempo molto lungo, dai 20 ai 40 anni, in America già da decenni la sua tossicità era stata accertata, e negli anni Settanta e Ottanta numerose erano state le class actions vinte contro i produttori da parte delle famiglie delle vittime.

In Italia, tuttavia, la sua pericolosità è stata per lungo tempo occultata, e noto quanto drammatico è il caso dello stabilimento della multinazionale Eternit a Casale Monferrato, in Piemonte, la ‘fabbrica della morte’, che ha causato centinaia di vittime tra gli operai e gli abitanti del luogo. Dagli anni Ottanta, comunque, l’uso dell’amianto è stato gradualmente ridotto (la Eternit ha cessato le attività nel 1986) e a partire dai Novanta sono stati realizzati vasti lavori di bonifica, nell’edilizia pubblica come in quella privata.

Ciononostante, come denuncia Legambiente nel dossier Liberi dell’amianto? (aprile 2018), ancora troppi sono gli edifici che lo contengono – 50.744 quelli pubblici, 214.469 le abitazioni private e 20.269 strutture all’interno di siti industriali – e vi sono regioni, come Lazio e Trentino, ancora prive del Piano nazionale amianto, che secondo quanto disposto dalla legge del 1992 avrebbero dovuto approvare entro 180 giorni dalla emanazione della stessa. Il problema principale rimane lo smaltimento: solo otto regioni dispongono di almeno un impianto atto a questa funzione, mentre una percentuale molto alta dei rifiuti viene portata all’estero, nelle fabbriche dismesse della Germania.

Secondo l’INAIL, citata da Legambiente, «l’Italia è attualmente uno dei Paesi al mondo maggiormente colpiti dall’epidemia di malattie amianto correlate»: tra il 1992 e il 2012, infatti, si sono registrati 21.463 casi di mesotelioma maligno – uno dei tumori correlati a questo minerale – e 6.000 morti all’anno (dati purtroppo destinati a crescere, in quanto ancora incompleti). La maggior parte dei casi ha come certo, probabile o possibile luogo di esposizione la sede di lavoro (69,5%); tra questi, i settori di attività maggiormente esposti sono l’edilizia (15,2%), l’industria pesante (8,3%), la metallurgia (3,9%) e le attività di fabbricazione di prodotti in metallo (5,7%), i cantieri navali (6,7%), l’industria del cemento-amianto (3,1%). Le regioni più colpite, infine, sono Lombardia (4.215 casi), Piemonte (3.560), Liguria (2.314), Emilia Romagna (2.016), Veneto (1.743), Toscana (1.311), Sicilia (1.141), Campania (1.139) e Friuli Venezia Giulia (1.006).

Insomma, a 26 anni dal suo divieto – ma a molti di più dalla scoperta della sua tossicità – l’amianto continua a mietere vittime e il suo smaltimento a costituire un enorme problema.

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