Il 31 marzo chiuderanno gli Ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) come previsto dal cosiddetto decreto ‘svuota carceri’; non è una decisione improvvisata ma sembra cogliere di sorpresa le istituzioni preposte a gestire la nuova situazione. La condizione dei vecchi manicomi criminali (Reggio Emilia, Barcellona Pozzo di Gotto, Aversa, Montelupo Fiorentino) era rimasta inalterata anche dopo l’approvazione della legge 180, che nel 1978 chiuse i manicomi; si è protratta così una situazione di sospensione, di terra di mezzo, che però per i reclusi somigliava più a un inferno che a un limbo. Nel 2010 la Commissione parlamentare di inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale aveva infatti segnalato l’assoluta inadeguatezza di queste strutture, per le condizioni incivili in cui erano costretti i ricoverati. Alla fine di un percorso fortemente voluto da giuristi ed esperti del settore, della psichiatria come del diritto, si è arrivati nel 2012 alla storica decisione di chiudere gli OPG, con un largo consenso. Al momento però di dare attuazione alla riforma, sorgono dei dubbi sul destino degli ottocento pazienti attualmente ospitati nelle strutture e si avanza l’ipotesi di una proroga, fortemente sollecitata dalla SIP (Società italiana di psichiatria), non perché il senso generale della riforma sia in discussione ma perché in effetti secondo molti esperti il percorso preparatorio non è stato completato. Le Regioni non hanno fatto in tempo a predisporre strutture diverse che corrispondano ai nuovi requisiti di legge che prevedono l’esclusiva gestione sanitaria all'interno, delegando alle forze dell’ordine soltanto l’attività perimetrale di sicurezza e di vigilanza esterna. Una storia italiana, con una legislazione a volte illuminata e in anticipo sui tempi e un’amministrazione della cosa pubblica a volte farraginosa e opaca.