Nel corso degli anni, ci si è spesso stupiti di fronte alla crescita inarrestabile del videogioco in Italia, genuinamente emozionati di fronte alla possibilità che la games industry attecchisse anche in un Paese dove l’avanguardia tecnologica rischia, talora, di essere travolta sotto il peso di un’eredità culturale imponente. E, anche se fortunatamente non si può dire che quello stupore sia oggi svanito, le rassegne di dati più che positivi sono diventate una consuetudine familiare. (Video)giocare oggi è un’attività sociale, da condividere e aggregativa, e viene percepita come tale anche dalla collettività.

Si può leggere in quest’ottica anche il rapporto annuale sull’industria italiana diffuso da AESVI (Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani), l’associazione di categoria del settore videoludico in Italia. Adottando una nuova metodologia, AESVI ha calcolato che il fatturato del videogioco in Italia ammonta a 1,477 milioni di euro, ripartiti in hardware (428 milioni di euro), e software (1,049 milioni di euro), i videogiochi veri e propri insomma.

Che siamo un popolo di videogiocatori ormai è un fatto assodato, ma il gaming è men che mai appannaggio della minoranza dei teen white males rinchiusi nella cameretta, una visione anacronistica che non viene infatti più rispecchiata nella straordinaria varietà che emerge dai dati. Quella che scaturisce dai dati di AESVI è infatti una visione, realistica, di un videogioco per tutti, a prescindere dall’età e dal genere. Grazie a un sondaggio online, AESVI ha infatti determinato che il 57% della popolazione italiana tra i 16 e i 64 anni ha giocato ai videogiochi negli ultimi 12 mesi; il 59% di questi è uomo, il 41% donna.

È chiaro che il videogioco ha dovuto allargare i suoi confini semantici per arrivare a ricomprendere una fascia demografica così ampia. Oggi, infatti, il videogioco è un oggetto dalle innumerevoli sfaccettature, frammentato in dozzine di schermi diversi. Se questo significa che la sua definizione è oltremodo sfuggente, d’altronde è aumentato drammaticamente il numero di contesti in cui le persone possono fruirne.

La profezia di molti guru del settore, già azzardata una decina di anni fa, si è finalmente realizzata: oggi, non si gioca più solo di fronte allo schermo del computer, ma il contenuto di gioco vive nella nuvola e si sposta di contenitore in contenitore, con una divisione in piattaforme che ormai rischia di diventare irrilevante. A dominare, infatti, è il fatturato delle app, con 385 milioni di euro: non c’è da stupirsi, se del resto una casa come Epic ha deciso di portare il fenomeno Fortnite anche su smartphone. Le vendite del software fisico, pur essendo minori, vedono una flessione positiva del 7% e ammontano a 370 milioni di euro. Ma il digital, in questo caso riferito ai videogiochi console e PC venduti sui marketplace online (per esempio, PlayStation Store) ha ormai raggiunto un fatturato di 294 milioni di euro: è il segno dei tempi, nonché la dimostrazione che il videogioco sta evadendo dai suoi limiti fisici, con lo scopo di diventare un bene che può essere fruito in ogni momento e in ogni situazione. Magari insieme ad altre persone. Un dato particolarmente importante emerso nel rapporto di AESVI, infatti, è il 67% di genitori che gioca ai videogiochi con i propri figli, con varie motivazioni, come passare del tempo con loro o persino sfruttarne i benefici educativi; questo avviene in modo particolare nel caso di figli sotto ai 15 anni. Con un processo silenzioso ma costante, il pubblico italiano si è abituato al gaming, che ha fatto il suo ingresso nella sua vita e nelle abitudini di tutti i giorni.

Lo dimostrano iniziative come Rome Video Game Lab organizzato all’interno degli Studios di Cinecittà, dove abbiamo potuto riscontrare con i nostri occhi la puntualità dei dati offerti nella panoramica di AESVI. Il retroterra culturale italiano, è bello notarlo, non ha mai remato contro il videogioco, ma vi ha trovato un giovane e vivace interlocutore, prima da osservare, poi da coinvolgere proattivamente. Va da sé che roccaforti della cultura, come Cinecittà, si aprano quindi a questa forma d’intrattenimento moderna, che recupera la tradizione del cinema, cambiandola nel profondo. Rome Video Game Lab è stata proprio l’occasione per assistere a un contesto in cui il videogioco ha espresso il suo pieno potenziale di catalizzatore per cultura, formazione e innovazione, permettendo di comprendere l’entità e l’importanza dei fenomeni che gravitano nell’orbita del pianeta gaming.

Tenutosi dal 4 al 6 maggio, Rome Video Game Lab ha ospitato diverse iniziative per sensibilizzare il pubblico sul tema del gaming e favorire l’apprendimento, con partner istituzionali come il CNR, il MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e AESVI. Tante le attività che hanno caratterizzato l’evento, che ha coniugato in sé diverse anime. Come l’eSport, con il lancio della nuova stagione di University eSport Series, ossia il torneo di sport elettronico rivolto alle università, iniziativa che avvicina il mondo dell’accademia a quello del gaming competitivo. Sul palco dell’evento si sono infatti sfidate le realtà sportive e accademiche più importanti, a dimostrazione del potenziale del videogioco in qualità di forza trainante, promotore di valori positivi e costruttore di nuovi legami sociali.

L’evento ha visto la partecipazione di un pubblico eterogeneo, e soprattutto di molte famiglie, prova concreta che il videogioco, come vedevamo in apertura con i dati di AESVI, non è più un passatempo da svolgere in solitaria, ma un’occasione per crescere e migliorarsi insieme. L’evento offriva anche lezioni frontali e workshop, come quelli organizzati da Accademia italiana videogiochi con Level Up, dedicati ad aree tecniche del game development; per i più piccoli, sono stati invece offerti laboratori di Minecraft, il fenomenale building game di Microsoft, dove i giovanissimi ospiti sono stati sfidati a realizzare all’interno del gioco i monumenti caratteristici degli Studios di Cinecittà: il videogioco oggi è anche didattica, preservazione del proprio patrimonio artistico e promozione del territorio. Non a caso, alcuni degli studi di sviluppo portati in loco da AESVI, offrivano proprio applicazioni pensate per esplorare monumenti in 3D.Immagine 0

Tra le aree più visitate di Rome Video Game Lab, l’esposizione retrogaming, vero punto di incontro tra le generazioni, dove i genitori hanno potuto far provare ai figli i giochi della loro infanzia. Come Space Invaders, l’iconico shooter game che nel 2018 compie quarant’anni e che era possibile giocare sul cabinato originale di Taito prestato da VIGAMUS – Museo del Videogioco di Roma. Di strada se ne è fatta dagli alienini creati dalla fantasia di Tomohiro Nishikado, ma, in fondo, era già tutto lì: uno schermo, pochi pixel e un joystick. E un sogno che, a distanza di decenni, continua ancora non solo ad appassionarci, ma anche a farci crescere.

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