Intervista a Maria Chiara Parmiggiani

I più preoccupati sono i genitori: l’espandersi di comportamenti prevaricatori attraverso l’utilizzo della rete da parte di minori contro altri minori e il verificarsi di vicende di cronaca dall’epilogo terribilmente drammatico stanno diventando una vera e propria emergenza sociale. Tanto che anche il legislatore se ne sta facendo carico.

La Legge n. 71 del 29 maggio 2017 – spiega l’avvocato Maria Chiara Parmiggiani, dottore di ricerca presso l’Università di Parma dove collabora con la cattedra di diritto penale in materia di cyberbullismo e partner dello studio legale RPconsulting di Roma – contiene disposizioni a tutela dei minori per prevenire e contrastare il cyberbullismo. Si tratta di una novità che non ha creato un nuovo reato, ma ha attuato vari strumenti preventivi. Ritengo però che, accanto a una nuova legge, ci si adoperi per costruire una cultura del rispetto che consenta di coniugare il mondo digitale con la tutela della dignità umana.

In Italia tutto è cominciato nel 2006, anno del primo episodio di bullismo virtuale, il caso giudiziario Google-Vivi Down.

L’8 settembre di quell’anno una minorenne aveva caricato sul web un video durante il quale degli alunni adottavano comportamenti vessatori nei confronti di un compagno affetto dalla sindrome di Down. Nel video erano anche pronunciate frasi ingiuriose contro il ragazzo e contro l’associazione Vivi Down, onlus impegnata in attività di tutela e assistenza. Il video aveva ottenuto migliaia di visualizzazioni ed era stato rimosso dall’host provider a seguito della segnalazione della Polizia postale.

Qualche anno dopo, nel 2013, si è verificato un altro tragico evento: la morte di una quattordicenne di Varese, che si era tolta la vita gettandosi dal balcone della sua abitazione dopo aver visto sui social un video che la vedeva protagonista di un atto sessuale, girato e caricato sul web a sua insaputa.

L’espandersi di tali vicende, umane e giudiziarie, ha aperto la strada ad una nuova sensibilità collettiva che ha ritenuto intollerabili e allarmanti certi fenomeni, di fronte ai quali il legislatore non ha più potuto rimanere inerte: è così che, il 18 giugno 2017, è entrata in vigore la legge n. 71 del 29 maggio 2017. Una legge non tanto punitiva, quanto piuttosto preventiva, attraverso approcci sociologici, giuridici e pedagogici, per attuare un piano di intervento inclusivo e formativo, nella consapevolezza che un’efficace azione di contrasto al cyberbullismo non possa che passare attraverso una considerazione su larga scala del fenomeno.

Secondo una ricerca di Save the Children__, due terzi dei minori italiani riconoscono nel cyberbullismo il principale pericolo che si insinua tra i banchi di scuola. Per il 72% dei ragazzi intervistati è una delle minacce più tangibili della nostra epoca, più della droga o del pericolo di subire una molestia da un adulto o del rischio di contrarre una malattia sessualmente trasmissibile.

Ruolo primario, infatti, viene riconosciuto alle “istituzioni scolastiche”: la cronaca ha dimostrato che è proprio la scuola l’ambiente aggregativo ove più nascono e si sviluppano i fenomeni di prevaricazione tra pari, attraverso la dinamica del “branco”, secondo cui un soggetto comincia l’attività denigratoria e gli altri la supportano o la incalzano con i loro contributi.

Dunque, dicevamo, non c’è una pena.

Per tale ragione non è possibile parlare dell’introduzione di un nuovo “reato” di cyberbullismo.

La legge prevede la possibilità di inoltrare un’istanza al titolare del trattamento, al gestore del sito Internet ovvero al Garante per la protezione dei dati personali per chiedere l’oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi dato del minore vittima di episodi di cyberbullismo diffuso via Internet.

Si tratta di una previsione che, in linea con lo spirito della legge, dimostra la volontà dell’ordinamento giuridico di intervenire con urgenza per cancellare le conseguenze tangibili del fenomeno, eliminando il materiale offensivo pubblicato on line. Pur se pregevole, tale sistema rischia tuttavia di non essere in concreto capace di raggiungere il suo scopo. Anzitutto, perché tutti i termini indicati nell’art. 2 per i gestori dei siti e per il Garante sono di carattere ordinatorio, per cui privi di sanzione qualora non rispettati. Inoltre, poiché la celerità di condivisione e di diffusione dei dati su altri siti o social network rende particolarmente difficoltosa (se non talvolta impossibile) la totale cancellazione del materiale offensivo incriminato.

L’art. 4 prevede che ciascun istituto scolastico attui le linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto al cyberbullismo emanate dal MIUR_, attraverso la formazione degli insegnanti, la presenza di un “docente antibullo”, la promozione di un ruolo attivo di studenti ed ex studenti (secondo un modello di peer education), l’attuazione di misure di sostegno e di rieducazione dei minori, anche in collaborazione con forze di Polizia, associazioni e centri di aggregazione giovanile._

Un’iniziativa fondamentale. Come anche l’art. 5, che attribuisce al dirigente scolastico il compito di adottare delle azioni di contrasto e di carattere educativo, informando i familiari.

Anche in questa legge troviamo il m__edesimo strumento di intervento istituito nel 2009 per lo stalking__.

Si tratta dell’ammonimento da parte del questore, emesso all’esito di una procedura che consente di ottenere una rapida reazione dello Stato prima di innescare lo strumento penale. Lo scopo dell’ammonimento è quello di evitare la reiterazione di condotte di cyberbullismo ed il ricorso allo strumento penale, in linea con lo spirito preventivo/educativo della legge.

Come giudica questa legge?

Ho qualche perplessità riguardo alla scelta di destinare la nuova normativa ai soli minorenni. Nessuna misura è stata prevista per il diciottenne che, per varie ragioni, si trovi ancora a frequentare il contesto scolastico e che non potrà, quindi, accedere alle misure preventive e repressive previste dalla norma. Non è stata poi inserita una forma di riparazione ex ante che, sull’onda di analoghe statuizioni già presenti nel nostro ordinamento, poteva contemplare un effetto premiale in favore del cyberbullo che si ravvede e che si adoperi in tal senso prima di essere raggiunto dall’ammonimento.

Suggerimenti per migliorare?

L’impatto con la realtà di giovani sempre più esposti alle nuove tecnologie, di storie che balzano prepotentemente fuori dal web e che raccontano di un corpo deriso o di una dignità calpestata dimostra l’importanza e la necessità di un investimento culturale, che è premessa indispensabile di una società (reale e virtuale) più retta e più giusta. Per questo non basta normativizzare la privacy, ma occorre educare alla riservatezza e alla consapevolezza delle proprie scelte nel rispetto e nella tutela altrui. Forse, allora, la legge n. 71/2017 ha il merito di aver imboccato la via giusta.

Per capirne di più, a dicembre 2018, la casa editrice ETS (collana PQM dedicata alla psicologia giuridica) pubblicherà un libro dal titolo Dove non arriva la privacy. Come creare una cultura della riservatezza, in cui Parmiggiani ed altri autori approfondiranno questi ed altri temi, per una presa di consapevolezza su questo mondo, sempre più virtuale e liquido, in cui sta diventando urgente imparare a muoversi con destrezza per proteggere la propria riservatezza e rispettare quella degli altri.

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#privacy#legge#cyberbullismo