Estratto da Thomas Leoncini, La società liquida. Che cos’è e perché ci cambia la vita_, editore Il Sole 24 Ore, 2023, pp. 128_

Siamo inclini, in quanto figli del pensiero evoluzionistico, a concepire l’adattamento come un’abilità: la specie che più si adatta all’ambiente sarà la specie che con ogni probabilità sopravviverà meglio. Non a caso Jean Piaget già in La formazione del simbolo del bambino scriveva che «l’intelligenza può essere definita come la più elevata e plastica forma di adattamento dell’organismo all’ambiente». Ma cosa significa adattarsi alla modernità liquida? E adattarsi a essa può essere intesa come una forma di intelligenza?

Se la modernità liquida si rafforza modernizzando compulsivamente se stessa, adattarsi a questa società significherebbe quindi modernizzare la propria persona (termine indicativo poiché deriva dal latino “persōna”, che significa “maschera”) in modo compulsivo e ossessivo, cercando di cambiare costantemente il proprio aspetto e le proprie abitudini con l’obiettivo di percepirsi sempre “nuovi”, ma al contempo alla disperata ricerca di punti fermi.

Ed è proprio studiando attentamente i comportamenti dei nativi liquidi (i nati a partire approssimativamente dagli anni Ottanta) che si possono rintracciare con chiarezza sul corpo umano tutte le caratteristiche della società liquida sopra elencate.

Quando Zygmunt Bauman nel libro Nati liquidi identifica i tatuaggi come simbolo di ricerca identitaria dei giovani, cerca proprio di mostrare il paradosso del bisogno di definitivo in un corpo che per stare al passo dei tempi dovrà obbligatoriamente cambiare.

Tatuarsi infatti è diventato per moltissimi giovani un’esigenza alla pari di avere almeno uno smartphone, ma agisce in controtendenza rispetto alla spinta liquida della società dei consumi. In modo solo apparentemente paradossale si può affermare che il tatuaggio sia simbolicamente un retaggio della società solida poiché rimanda al definitivo, è qualcosa che controbilancia la spinta all’effimero della modernizzazione.

La spinta giovanile a tatuarsi è in ultima analisi una richiesta inconscia di immutabilità, un atto fortemente conservatore, la necessità di imprimere, con un po’ di sofferenza (non dimentichiamo che parlare di tatuaggi è parlare di aghi, lacrime, possibili infezioni e bruciori che durano giorni e giorni) una rappresentazione identitaria che non verrà cancellata.

I tatuaggi infatti, nell’immaginario collettivo giovanile, non vengono quasi mai considerati cancellabili, bensì sostituibili.

Chi si stufa di un disegno o di una scritta si sente infatti libero di imprimersene altri per cancellare inconsciamente il peso dei precedenti: la cancellazione in realtà è, in molti campi della vita, considerata un’inutile perdita di tempo, oltre che la fastidiosa e dissonante assunzione di responsabilità per un errore commesso.

Risulta molto più veloce e indolore aumentare il numero di timbri indelebili oppure modificarne uno già presente, magari mimetizzando una scritta con un’altra o con un disegno che possa farci dimenticare la motivazione della scelta precedente, sapendo che se ne potrà, comunque, sempre aggiungere uno successivo.

E i numeri di cui si parla sono tutt’altro che irrisori e soprattutto sono in crescita: dal 2012 in Italia infatti il numero dei centri in cui potersi tatuare ha fatto segnare un incremento del 376 per cento. Secondo dati recenti di Unioncamere, nel nostro Paese ci sono 6.324 attività di tatuaggi e piercing. La regione che ne ha di più è la Lombardia, con 1.374 negozi, segue il Lazio, con 677, terza la Toscana, con 573. Ultima in classifica la Valle d’Aosta, che ne conta solamente 14.

Inoltre secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità i tatuati sono sette milioni, con punte del 30% tra i più giovani, mentre in Germania, secondo un sondaggio del 2019 dell’Istituto Ipsos, un tedesco su cinque è tatuato.

Il tema dei tatuaggi è particolarmente prezioso per analizzare le tendenze sia sociali che psicologiche poiché ciò che spinge la moda (dall’abbigliamento agli accessori) è l’identificazione, ciò che invece spinge la necessità di tatuarsi è, almeno a livello inconscio, la ricerca di un’identità definita, che possa resistere all’urto del tempo.

Tatuarsi può in quest’ottica essere interpretato come un atto di fiducia verso l’eternità, tendenza rivoluzionaria in tempi liquidi poiché chi si adatta al flusso si fa flusso e deve costantemente lottare con la parte solida e radicata (storica) di se stesso per garantirsi sempre un vivo parterre di identificazioni possibili.

Non dimentichiamo che il motore del mercato è l’identificazione del consumatore in sempre nuove possibili identità da esplorare attraverso il consumo, ed è proprio l’abilità di consumare che fa sentire l’uomo liquido-moderno più o meno degno di autostima.

Come conclude magistralmente Bauman in Vite di scarto: «I consumatori difettosi potrebbero essere dichiarati criminali in qualsiasi momento e a loro insaputa». E aggiunge «i consumatori difettosi sono persone che non hanno il denaro che consentirebbe loro di estendere la capacità del mercato dei beni di consumo, e al contempo creano un altro tipo di domanda cui l’industria dei consumi, tutta orientata sui profitti, non sa rispondere e che non è in grado di “colonizzare” in modo redditizio. Il bene primario della società dei consumi sono i consumatori; i consumatori difettosi sono il suo passivo più irritante e costoso».

Il baricentro della società liquida, che cerca forzatamente di condizionare i suoi membri, non è quindi né sull’avere e tanto meno sull’essere, bensì sul divenire.

L’uomo perciò desidera percepirsi indeterminato poiché non esserlo significherebbe soffocare, autoingabbiarsi nella ripetizione, mentre tutti intorno appaiono camaleontici e (solo) apparentemente felici di esserlo.Immagine 0

Immagine di copertina: Tatuaggi su braccio femminile. Crediti: Rawpixel.com / Shutterstock.com

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