01 dicembre 2016

Lavorare da casa: le regole per non farsi sopraffare

Difficile farlo capire alla zia che vive in provincia e ti chiede dov’è il tuo ufficio e che orario fai, o all’impiegato col cartellino da otto ore quotidiane: sì, lavorare da casa non solo è possibile, ma può risultare produttivo e remunerativo. E non c’è bisogno di chiamarlo telelavoro, o lavoro da remoto: inventarsi perifrasi e neologismi è tipico di chi ancora sente la necessità di giustificarsi per il fatto di potersi mettere davanti al computer in pigiama e pantofole, evitando geli invernali, calure estive, stressanti pendolarismi e colleghi invadenti. Liberi professionisti, dipendenti di aziende illuminate, operatori del digitale e di mestieri che non hanno ancora un nome. A tempo pieno, part time o in aggiunta all’orario di ufficio: negli anni ’90 il telelavoro sembrava una conquista di civiltà che avrebbe permesso la coesistenza di carriera e famiglia. Oggi che è una realtà per quasi due milioni di Millennial - secondo una recente stima Censis - la situazione ci appare più complessa. A partire dalle implicazioni psicologiche di una tale trasformazione: come non essere sopraffatti dall’invischiante effetto blob dovuto all’assenza di confini tra ambiente domestico e lavorativo?

Il sociologo australiano Roman Krznaric nel suo libro How to Find Fulfilling Work (Come trovare appagamento nel lavoro, presto disponibile nell’edizione italiana) ha indicato cinque auree regole per sviluppare al meglio la maggiore risorsa offerta dalla flessibilità: quella di poter plasmare la nostra attività lavorativa per adattarla al nostro stile di vita, e non viceversa.

La prima regola è proprio quella di creare uno spazio sacro, un setting ricavato anche in un angolo di una stanza ma che sia arredato a proprio gusto e inaccessibile a bambini e distrazioni.

La stretta osservanza di una dieta digitale è poi fondamentale: imporsi la disconnessione dal web - anche tramite software specifici - dalla lettura delle email e dagli smartphone per periodi non inferiori alle due ore. Soprattutto chi deve dimostrare a un’azienda di aver ben riposto la fiducia dovrebbe evitare di twittare o pubblicare status su Facebook.

La programmazione dell’attività è fondamentale: l’antico adagio suggerisce di appuntarsi poco prima di staccare le sei azioni da svolgere il giorno seguente, e di cominciare proprio da quelle. Una tale strategia è in grado di far impennare la produttività, specie quando non si è direttamente controllati da un capo.

Cercare il contatto umano. Una tale scelta lavorativa è perfetta per i misantropi, ma esclude tutto ciò che di buono può fornire l’interazione quotidiana con amici e conoscenti in termini di relax, ma anche il potenziale creativo dell’incontro con nemici o sconosciuti.

L’ultima regola è quella di sfruttare la più grande potenzialità del lavoro non controllato: quello di riservarsi azioni e condizioni che si accordano con la propria personalità. Ci si può concedere un bagno per non rispondere arrabbiati a una mail, una passeggiata per sbloccare le idee, la propria musica preferita per accompagnare gli sforzi di concentrazione maggiori.

Perché, se è vero che Proust ha scritto l’intera Recherche sdraiato a letto, non è detto che riesca anche a noi.

 


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