Quest'anno la cosiddetta festa della donna, ridotta per lo più in una occasione di consumo, è stata il pretesto per una casa automobilistica torinese per proporre solo alle guidatrici un optional "in aiuto della retromarcia", alludendo alla presunta incapacità femminile di manovrare l'auto. Offerta che ha generato motivate proteste contro uno spot giudicato se non proprio sessista, comunque stereotipato. Sempre l’otto marzo è stato pubblicizzato sui giornali italiani l'ePad Femme, il tablet pensato esclusivamente per un pubblico femminile, un banale sfondo rosa e le app preinstallate «per le donne che non sanno scaricare» per lo yoga, la cucina e le diete e ovviamente per fare la spesa. Gli ideatori dell’ePad Femme non devono essere assidui frequentatori della pagina facebook dell’Europarlamento dove si legge Men are from Mars, women are from Venus? Parliament calls for measures to combat gender stereotyping in education, media, advertising, labour market and politics, il tutto illustrato da simpatici marziani o, forse, marziane.
Ma l’impegno del Parlamento europeo non si è limitato alle inchieste lanciate su facebook, una infografica pubblicata sul sito mostra chiaramente che nei 27 paesi dell’Unione Europea non c’è eguaglianza: l’amministratore delegato è un maschio nel 97,6% dei consigli di amministrazione e femmina solo nel 2,4%, il salario medio (quando c’è!) per un uomo, nel 2010, è stato di 34.377 euro contro i 26.390 di una donna, le donne laureate, nel 2007, sono state il 60% e gli uomini il 40%, ma loro, gli uomini, hanno un tasso di occupazione più elevato: il 75,8% contro il 62,5%. Le donne, più degli uomini, si trovano ad affrontare una crisi che peggiora e indebolisce la loro condizione: i tagli all'istruzione e alla spesa sociale le hanno spinte a cercare un lavoro part-time nel 75% dei casi, riducendo in tal modo non solo il loro reddito, ma anche le loro pensioni. (http://www.europarl.europa.eu/pdf/eurobarometre/2013/femme/synth_en.pdf)
E le donne sono ancora molto lontane da conquistare la testa della scala sociale. Il settimanale The Economist , rielaborando i dati dell’Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD) e della International Labour Organization (ILO), confrontando cinque indicatori rilevati per 26 paesi, ha stilato il proprio glass-ceiling index per mostrare dove le donne hanno le migliori possibilità di parità di trattamento sul posto di lavoro. Il risultato è stato che se sei una donna che lavora dovresti vivere in Nuova Zelanda, paese che raggiunge punteggi alti per tutti gli indicatori. La Finlandia è meglio in materia di istruzione, la Svezia ha il più alto tasso femminile di partecipazione alla forza lavoro, il 78%, e la Spagna ha il gap salariale più piccolo, il 6%.
Anche il quotidiano The Guardian non ha resistito ai festeggiamenti delle donne a colpi di numeri e ha pubblicato un’infografica interattiva incentrata sui diritti delle donne nel mondo Women's political rights around the world. La Nuova Zelanda, ancora una volta, è il primo paese in cui le donne hanno ottenuto il diritto di voto nel 1893. Seconda è arrivata l’Australia nel 1902 e terza la Finlandia nel 1906, dove la prima donna è stata eletta nel 1907 e nel 2011 il 40% del parlamento era composto di donne. In Europa l’ultimo paese a concedere il diritto di votare alle donne è la Moldavia, nel 1978, preceduta dalla Svizzera nel 1971, solo 123 anni dopo aver concesso il diritto di voto agli uomini. Per ogni paese è possibile conoscere anche i dati sulla disoccupazione femminile, sulle morti per parto e la presenza di leggi contro la violenza sulle donne. Facendo scorrere gli anni si scopre che nel 2011 Emirati Arabi e Arabia Saudita sono gli unici paesi dove le donne ancora non hanno conquistato il diritto di voto, anche se nel parlamento degli Emirati c’è una rappresentanza del 23% di donne, evidentemente elette dagli uomini.
Anche sul portale di informazione economica e sociale Sbilanciamoci viene presentato il dossier, in primo piano, rosa shocking e scaricabile, “Che genere di crisi?” che fotografa le condizioni di vita delle donne nel contesto della crisi. Un viaggio attraverso statistiche più o meno note che ci racconta una Italia dove le donne, più numerose e longeve degli uomini, quando sono occupate dedicano il 14,2% del proprio tempo al lavoro familiare, più del doppio rispetto agli uomini (4,1%), quindi penalizzate nel tempo libero. Sempre quando riescono ad essere occupate sono 842.000, il 5,9%, quelle che tra i 15 e 65 anni di età sono state sottoposte a ricatti sessuali sul luogo di lavoro. Specchio di un mercato del lavoro non inclusivo e iniquo sono anche le retribuzioni mensili nette che per gli uomini sono in media di 1425 euro contro i 1143 delle donne, una differenza di poco meno di 300 euro solo per essere considerate il sesso debole.
L’Italia è il terz’ultimo paese nella classifica dell’Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD), davanti a Turchia e Messico, per livello di partecipazione femminile nel mercato del lavoro: 51% contro una media OECD del 65%. Meno del 30% dei bambini al di sotto dei tre anni usufruisce dei servizi all’infanzia e il 33% circa delle donne italiane lavora part-time per conciliare lavoro e responsabilità familiari, contro una media OECD del 24%. Le proiezioni mostrano che, a parità di altre condizioni, se nel 2030 la partecipazione femminile al lavoro raggiungesse i livelli maschili, la forza lavoro italiana crescerebbe del 7% e il PIL pro-capite crescerebbe di 1 punto percentuale l’anno. Sono solo alcuni dei numeri che si trovano nella scheda dedicata all’Italia del manuale redatto dall’OECD sulla diversità di genere, Closing the Gender Gap Act Now.
Una festa della donna tra statistiche per lavoro, impari opportunità, gender gap, diritti negati, numeri che confermano che ancora c’è poco da festeggiare.

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