Ricorre sempre più spesso nelle conversazioni: molte persone, al momento di utilizzare una cannuccia o di riporre un oggetto di plastica tra i rifiuti indifferenziati, immaginano il volto accigliato di Greta Thunberg in atto di biasimo. Per dirla in termini psicoanalitici, abbiamo interiorizzato la figura della giovane leader del movimento ambientalista Fridays for Future; solo un piccolo effetto psicologico del cambiamento climatico. Ma il fattore umano è presente nel complesso fenomeno in almeno tre dimensioni: le cause antropiche del cambiamento, che comprendono l’utilizzo di combustibili fossili e delle risorse naturali; le conseguenze sull’umanità, con l’incremento nel numero e nell’intensità di disastri naturali, le minori disponibilità di acqua e cibo e le minacce alla salute pubblica; e le risposte umane, che possono andare dall’impegno individuale o collettivo per mitigarne gli effetti.
Il problema che si sta evidenziando negli ultimi mesi è quello della comprensione del fenomeno, che è alla base della motivazione ad agire un cambiamento dei comportamenti collettivi necessario al suo contenimento. Le persone – almeno in questa fase – non hanno ancora esperienza diretta, tangibile del cambiamento climatico; sono invece sottoposte alle sue diverse rappresentazioni, da parte dei media e delle fonti informali. E non è solo l’ignoranza della rilevanza del fenomeno l’ostacolo per chi si vuole impegnare nel suo contrasto, come messo in evidenza dalla American Psychological Association. La sfiducia nelle istituzioni, insieme a quella nella comunità scientifica, può essere alla base della reazione verso coloro che curano la comunicazione sul tema o cercano di favorire la sua normazione, quasi per un meccanismo di transfert e antica rivalità con le figure considerate autoritarie. Per questo motivo è importante dimostrare come tra coloro che promuovono i nuovi comportamenti non ci siano interessi economici in ballo, e che i comportamenti richiesti siano equi ed efficaci. Al suo estremo si può arrivare ad una attiva negazione del cambiamento climatico stesso, della sua natura antropica o della possibilità di mitigarlo con i giusti comportamenti collettivi.
I ricercatori Vess e Arndt, riprendendo i lavori dei teorici della gestione del terrore, hanno mostrato come le persone possono negare il problema perché aprirebbe il tema inconscio della mortalità personale. Altri fattori meno evidenti possono condizionare le risposte personali sul clima: la tendenza generale a sottovalutare i rischi nel futuro o i rischi distanti nel tempo, come sentenziò proverbialmente l’economista Keynes secondo cui nel lungo periodo saremo tutti morti. Un fattore più controverso è invece quello legato all’attaccamento ai luoghi: le persone che amano maggiormente il luogo in cui vivono sembrano essere spinte verso comportamenti di maggior tutela ambientale, anche se alcuni studi non hanno rilevato un effetto di questo fattore.
Senz’altro l’ostacolo più arduo all’apprendimento di comportamenti virtuosi risiede nei nostri circuiti cerebrali: si tratta delle abitudini. I comportamenti abitudinari sono molto o irriducibilmente resistenti al cambiamento, come le abitudini alimentari; inoltre, alcuni comportamenti legati al cambiamento climatico, come l’utilizzo delle automobili, per molte persone non sono una scelta, ma una necessità. È stato tuttavia verificato che imporre stop temporanei delle automobili può favorire sul lungo termine l’utilizzo di alternative meno inquinanti come treno o bicicletta.
Alcune persone possono poi applicarsi per un cambiamento limitato e poco significativo, ritenendo che sia sufficiente; o addirittura evidenziare l’effetto rimbalzo, per cui malgrado lo sforzo che si sia fatto i vantaggi vengono annullati. Ad esempio, chi si impegna per creare il comportamento virtuoso di riciclare i rifiuti potrebbe essere portato a consumare poi più plastica. Da non sottovalutare la possibile credenza di alcuni fedeli di religioni tradizionali, che possono ritenere che le divinità non permetterebbero all’umanità di estinguersi e ci aiuterebbero in caso di difficoltà; il pensiero va alla crociata di Radio Maria contro Greta Thunberg, malgrado l’esplicito supporto di papa Francesco alla causa ambientalista.