Ad inizio marzo, dopo i primi giorni di smarrimento, forse non molti avevano intuito che non saremmo usciti poi così presto dal lockdown e men che meno da questa terribile pandemia. Mentre l’attenzione pubblica era giustamente canalizzata sull’aumento dei contagi, e purtroppo dei decessi, sull’impatto economico e sulle difficoltà finanziarie delle famiglie provocati dalla sospensione di una parte notevole delle attività produttive del paese, in pochi guardavano lontano, a quali sarebbero state le conseguenze fra 5, 10, 20 anni, in sostanza, al futuro dei nostri bambini.

Fra gli addetti ai lavori sapevamo che prima di avere a disposizione dati dettagliati, ufficiali, sulle conseguenze che il lockdown avrebbe avuto sulle famiglie italiane, sarebbero passati mesi se non addirittura anni. Per questo motivo, a marzo, con un gruppo di colleghi di molti paesi europei, abbiamo deciso di preparare un’indagine rivolta alla situazione delle famiglie durante il lockdown, con un particolare interesse per la riorganizzazione della vita familiare in relazione alla chiusura delle scuole, alla sospensione di molte attività produttive, ma soprattutto cercando di cogliere alcuni aspetti fondamentali della vita dei bambini: la riorganizzazione del loro tempo, la tipologia di didattica messa a loro disposizione dalle scuole, il loro benessere psico-fisico (anche in relazione al rapporto con i genitori) e alla valutazione del loro progresso scolastico. Il questionario, diffuso via web e social attraverso campagne mirate ha raggiunto, in aprile, quando le restrizioni alla mobilità erano più severe, più di 3.300 famiglie e ci ha permesso di valutare in modo quanto più rigoroso possibile (date le circostanze) alcuni aspetti fondamentali della vita dei bambini durante il lockdown.

Alcuni dei risultati più immediati riguardano l’uso del tempo: un aumento di circa due ore al giorno di televisione/video/social in media, con un aumento maggiore per i più piccoli (scuola dell’infanzia e primaria) e più contenuto, ma partendo da valori già elevati, per la scuola secondaria. Anche il tempo di lettura è aumentato, ma in misura marginale, solo 10-15 minuti al giorno. Per quanto riguarda la didattica a distanza, la grande maggioranza dei ragazzi della secondaria (oltre il 95%) ha avuto accesso a lezioni interattive on-line, in pochissimi casi venivano forniti solamente contenuti e compiti da svolgere e consegnare via mail o registro elettronico, ed in rarissimi casi non era previsto alcun tipo di attività educativa. Ma le cose non sono andate altrettanto bene nella scuola dell’infanzia e alla primaria. All’infanzia solo il 20% dei bambini ha potuto interagire con le proprie insegnanti e i propri compagni (per ovvi motivi), ma addirittura il 40% non ha ricevuto alcun tipo di input dalla scuola, lasciando ai genitori la completa responsabilità educativa dei figli. Genitori, è bene ricordarlo, che erano già alle prese con enormi difficoltà organizzative: chi doveva continuare ad andare al lavoro, in quanto impiegato in settori considerati essenziali, chi era alle prese con i primi, incerti tentativi di “smart working”, chi anche se con più tempo a disposizione non poteva comunque ricorrere ad alcun tipo di aiuto esterno, come nonni, babysitter o collaboratori domestici. Nella scuola primaria non si è verificato questo abbandono (meno del 5% dei bambini non ha ricevuto materiale da parte della scuola), ma comunque meno del 70% ha potuto svolgere lezioni online, e con una notevole variabilità nella copertura dell’orario scolastico: molti sono stati i casi in cui le lezioni online coprivano pochissime ore settimanali. È bene ricordare che questa situazione si è protratta per molti mesi, da inizio marzo a settembre, visto che non si è ritenuto opportuno riaprire le scuole prima della pausa estiva (che già di per sé è una delle più lunghe in Europa).

I maggiori esperti di sviluppo cognitivo (e non, le cosiddette soft skills) a livello mondiale sono concordi nel ritenere che tutto questo si tradurrà in una notevole perdita di capitale umano futuro, e che avrà anche ripercussioni sui salari futuri dei bimbi. Fra l’altro, l’impatto probabilmente sarà maggiore per i più piccoli, visto che l’investimento sul capitale umano dei bimbi in età prescolare (nido e infanzia) è quello che porta a rendimenti futuri maggiori. Nonostante forse questa consapevolezza non sia ancora largamente diffusa nella popolazione, i genitori intervistati, alla domanda “Come valuti il progresso educativo di tua figlia/tuo figlio, da 1 (non sta progredendo affatto) a 10 (come se andasse a scuola)”, si sono dimostrati notevolmente preoccupati, con un “voto” medio di 5, ma con notevoli differenze a seconda dell’età dei figli. I genitori dei bambini più piccoli (scuola dell’infanzia) si sono dimostrati particolarmente preoccupati, con un voto di poco superiore a 3, seguiti dalla primaria con un 5 e mezzo e dalla secondaria con 6-. Appare chiara la correlazione inversa fra l’impegno delle scuole nel proporre soluzioni di apprendimento a distanza e il livello di preoccupazione dei genitori.

Un’analisi più approfondita rivela che le differenze di valutazione fra livelli scolastici quasi si azzerano una volta che si tiene conto della qualità e quantità delle proposte didattiche a distanza. La valutazione migliora notevolmente all’aumentare delle interazioni fra insegnanti e alunni: ad esempio, nella scuola dell’infanzia per i bambini che non hanno ricevuto alcun tipo di attività da parte degli insegnanti la valutazione è stata pari a 2-, che aumenta a 4- quando c’è uno scambio di materiali, e raggiunge la sufficienza, un “bel” 6+, quando gli insegnanti offrono la possibilità di avere lezioni online in cui i bambini interagiscono direttamente con gli insegnanti, ma anche con i loro compagni. Sicuramente offrire delle lezioni online interattive con i bambini piccoli è complesso, ma questi risultati dimostrano che si può fare, e anche bene. Anche per quanto riguarda la primaria e la secondaria l’adozione di lezioni online fa migliorare la valutazione dei genitori, anche se in misura leggermente inferiore. Ma se da un lato la quasi totalità delle scuole secondarie offriva lezioni online e per un monte ore non molto inferiore all’orario ufficiale, così non è stato per la primaria, dove non solo quasi il 30% dei bambini non ha potuto seguire lezioni online, ma spesso il monte ore offerto era piuttosto basso, in media poco più di un’ora al giorno contro le 3 della secondaria.

Sembra quindi particolarmente importante in queste settimane in cui si assiste nuovamente alla sospensione delle lezioni presenziali a tutti i livelli scolastici (anche se per periodi più brevi e per classi selezionate) che le istituzioni mettano a disposizione delle scuole ogni strumento possibile, sia in termini di infrastruttura che, cosa ancora più importante, di formazione del corpo docente, allo scopo di facilitarle uno svolgimento quanto più possibile esteso ed efficace delle lezioni interattive online.

Un ultimo spunto di riflessione ci viene dal confronto con la Francia, dove è stata condotta un’indagine parallela a quella italiana. È interessante notare come i genitori francesi siano meno preoccupati del progresso educativo dei loro figli pur svolgendo molte meno lezioni online a tutti i livelli scolastici. Se in parte questo può essere dovuto al fatto che Macron alla data di intervista aveva già dichiarato che le scuole avrebbero ripreso parzialmente le lezioni in presenza già a fine maggio, esistono anche elementi che indicano come il sistema scolastico italiano possa migliorare soprattutto per quanto riguarda l’infanzia e la primaria. In Francia, infatti, non osserviamo un gradiente di preoccupazione maggiore con il diminuire dell’età dei bambini e questo potrebbe essere dovuto al fatto che i bambini sono allenati ad una maggior indipendenza dagli insegnati (che cambiano tutti gli anni già dall’infanzia). Il percorso scolastico risulta quindi meno dipendente dall’approccio educativo del singolo insegnante e più standardizzato sui programmi ministeriali. Ne consegue che i bimbi francesi non traggono particolare beneficio dalle lezioni interattive online, rispetto ad altre metodologie didattiche a distanza, cosa che invece avviene in modo molto marcato in Italia.

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