La cultura e le tradizioni del Mediterraneo si intrecciano con la pesca. Per secoli, il Mar Mediterraneo ha fornito ai Paesi e alle comunità circostanti abbondanti risorse marine, mezzi di sussistenza e opportunità commerciali, fungendo al contempo da ponte tra le ricche culture che caratterizzano la regione. L’industria della pesca nel Mediterraneo sostiene un settore del valore di 4,6 miliardi di euro e impiega 180.000 persone. Inoltre, ospita fino al 18 % della vita marina del mondo, pur essendo solo lo 0,82% della superficie complessiva dei mari e degli oceani. Questo enorme patrimonio sta venendo progressivamente distrutto. Infatti, le risorse ittiche totali sono diminuite di oltre un terzo nell’ultimo mezzo secolo: negli ultimi 50 anni, il Mediterraneo ha perso il 41% delle popolazioni di mammiferi marini e il 34% della popolazione ittica totale, mentre il 53% delle specie di squali presenti nel Mediterraneo è a rischio di estinzione locale. Per questa ragione, ad oggi, il Mar Mediterraneo viene riconosciuto come il mare più sovrapescato del mondo, con un sovrasfruttamento di circa il 75% di tutti gli stock ittici. Se non si prendono delle misure drastiche, il Mediterraneo sarà molto presto un mare completamente svuotato.

La sovrapesca (overfishing) e il Mediterraneo

La sovrapesca è, in un certo senso, una reazione razionale all’aumento del fabbisogno di pesce da parte del mercato. La maggior parte delle persone consuma circa il doppio del pesce rispetto a 50 anni fa e il numero di abitanti della Terra è quadruplicato rispetto alla fine degli anni Sessanta. Questo è uno dei motivi per cui il 30% delle acque pescate commercialmente è classificato come “sovrasfruttato”. Ciò significa che lo stock di acque disponibili per la pesca si sta esaurendo più velocemente di quanto possa essere rimpiazzato.

Esiste una definizione semplice e chiara di quando un’area è “sovrasfruttata” e non si tratta semplicemente di catturare "troppi" pesci. La pesca eccessiva si verifica quando lo stock riproduttivo di un’area si esaurisce a tal punto che i pesci presenti nell’area non riescono a riprodursi. Nella migliore delle ipotesi, ciò significa che l’anno prossimo ci saranno meno pesci di quest’anno. Nel peggiore dei casi, significa che una specie di pesce non può più essere pescata in una determinata area. Ciò va di pari passo con le forme di pesca distruttive che non raccolgono solo il pesce che il peschereccio sta cercando, ma anche ogni altro organismo abbastanza grande da poter essere catturato in una rete. Oltre l’80% dei pesci viene catturato in questo tipo di reti, ma i pesci non sono gli unici ad essere catturati nelle reti. La pesca a strascico nel Mediterraneo è la pratica che ha l’effetto più significativo sugli ecosistemi e sulle popolazioni ittiche di questa regione. È anche il settore più redditizio dell’industria, che gode di un notevole sostegno sociale e politico, ed è impossibile da contrastare se affrontato da un singolo Paese. L’abituale disinteresse per le trasgressioni di questo settore da parte delle autorità riflette tale situazione e rende la prospettiva di raggiungere la piena conformità nelle future aree protette del Mediterraneo una prospettiva nominale, nella migliore delle ipotesi. Per salvare il Mar Mediterraneo da pratiche di pesca devastanti, dobbiamo innanzitutto cambiare la cultura in cui le regole vengono fatte per poi essere infrante.

L’impatto dell’overfishing

La sovrapesca ha una serie di conseguenze di ampia portata.

Aumento delle alghe nell’acqua: come nel caso di molti altri organismi, la presenza di alghe è un elemento positivo, ma quando queste sono in quantità eccessiva, si trasformano in un fattore negativo. Quando non ci sono abbastanza pesci nell’acqua, le alghe non vengono da questi mangiate e ciò aumenta l’acidità degli oceani, con un impatto negativo non solo sui pesci rimasti, ma anche sulle barriere coralline e sul plancton.

Distruzione delle comunità di pescatori: la pesca eccessiva può distruggere completamente le popolazioni ittiche e le comunità che un tempo facevano affidamento sul pesce presente. Ciò è particolarmente vero per le comunità insulari. Vale la pena ricordare che ci sono molti punti isolati del pianeta in cui la pesca non è solo il motore dell’economia, ma anche la fonte primaria di proteine per la popolazione. Quando la pesca viene meno, la comunità scompare con essa.

Pesca più difficile per i piccoli pescherecci: se siete amanti delle piccole imprese, dovreste preoccuparvi della pesca eccessiva. Questo perché l’overfishing è praticato per lo più da grandi imbarcazioni e rende più difficile per quelle più piccole rispettare le proprie quote. Con oltre 40 milioni di persone nel mondo che traggono il loro cibo e il loro sostentamento dalla pesca, questo è un problema serio.

Pesca fantasma: la pesca fantasma si riferisce agli attrezzi da pesca abbandonati dall’uomo. Si stima che circa 25.000 reti galleggino nell’Atlantico nordorientale. Questi attrezzi abbandonati diventano una trappola mortale per tutta la fauna marina che nuota in quell’area. Sebbene gran parte del fenomeno sia dovuto a tempeste e disastri naturali, esso è il risultato dell’ignoranza e della negligenza dei pescatori commerciali.

Bycatch (cattura accidentale di specie a rischio): la fauna marina non ricercata dai pescatori commerciali viene catturata nelle loro reti come prodotto secondario. Le catture accidentali sono uno dei principali fattori di rischio di estinzione per molte specie vulnerabili del Mediterraneo. Le tartarughe marine e numerose specie di squali e razze sono tra le specie vulnerabili catturate accidentalmente dalla flotta a strascico ‒ infatti, i pescherecci a strascico sono responsabili di oltre il 90% delle catture accidentali di Elasmobranchi (sottoclasse di Pesci Condritti, comprendente gli squali, le razze e le torpedini) nel Mediterraneo occidentale.

Scarti del pescato: è una pratica molto diffusa quella di gettare in mare le catture indesiderate, vive o morte. La pesca a strascico è uno dei metodi di pesca meno selettivi attualmente in uso e causa un’elevata mortalità del novellame e delle specie non bersaglio, riducendo sia gli stock commerciali che la più ampia biodiversità marina. Delle 300 specie catturate nella pesca a strascico nel Mediterraneo, solo il 10% viene costantemente commercializzato, mentre il 60% viene sempre rigettato in mare.

Prodotto finale sconosciuto: a causa del sovrasfruttamento delle risorse ittiche, in pescheria e negli scaffali dei negozi di alimentari si trova una quantità significativa di pesce che non è quello indicato sull’etichetta. Date l’intensità e le dimensioni dell’industria ittica, in assenza di una chiara regolamentazione di controllo, prodotti inferiori vengono venduti a clienti inconsapevoli.

Tropicalizzazione del Mediterraneo e perdita della biodiversità

L’overfishing sta accentuando gli effetti del cambiamento climatico portando ad una tropicalizzazione del Mediterraneo, con temperature che aumentano del 20% in più rispetto alla media globale, migrazioni di pesci, comparsa di specie invasive e scomparsa di specie autoctone, distruzione di praterie marine di Angiosperme e di barriere coralline e diffusione di popolazioni di meduse. L’aumento della temperatura dell’acqua crea condizioni “tropicali”, con il risultato che le specie autoctone si disperdono o si estinguono. Quasi 1.000 nuove specie straniere (126 delle quali sono pesci) sono entrate nel Mediterraneo, causando una diminuzione delle popolazioni autoctone. Nelle acque israeliane, le popolazioni di molluschi autoctoni sono diminuite di circa il 90%, mentre le specie straniere, tra cui il pesce spinoso crepuscolare, costituiscono oggi l’80% delle catture in Turchia. Parallelamente, specie provenienti da aree più a sud, come il barracuda e la cernia crepuscolare, sono ora presenti al largo delle coste liguri, nel Nord Italia. Si è verificata una notevole espansione delle popolazioni di meduse, in particolare nelle regioni meridionali, che hanno registrato esplosioni demografiche sempre più frequenti e lunghe. Il sovrasfruttamento a lungo termine ha ridotto drasticamente le popolazioni di specie ittiche che prima competevano con le meduse per il cibo, e oggi alcuni pescatori catturano più meduse che pesci.

Le praterie di posidonia, detta anche erba di Nettuno, sono minacciate da acque sempre più calde e dall’innalzamento del livello del mare, che ha avuto un impatto devastante sia sulla biodiversità che sullo stoccaggio del “carbonio blu”, ovvero le piante marine che assorbono l’anidride carbonica dall’atmosfera. Si stima che le praterie di posidonia immagazzinino l’11-42% delle emissioni di CO2 della regione mediterranea. Circa il 30% di tutto il corallo rosso costituito da gorgonie nel Mar Ligure è stato distrutto a seguito di un’unica tempesta nell’ottobre 2018. Inoltre, molti altri tipi di corallo che contribuiscono ai complessi ecosistemi mediterranei vengono distrutti da fenomeni meteorologici estremi con crescente frequenza. Si stima che l’80-100% delle popolazioni di mitili a ventaglio sia andato recentemente perduto al largo della Spagna, dell’Italia e di altre regioni a causa dei crescenti tassi di mortalità. Questo mollusco bivalve, il più grande mollusco endemico del Mediterraneo, fornisce rifugio ad altre 146 specie più piccole.

L’impatto complessivo è tale che questi habitat possono impiegare decenni per riprendersi; spesso può essere addirittura irreversibile. Una misura cruciale necessaria per arrestare tale impatto negativo sul mare è la creazione e la gestione efficace delle aree marine protette (AMP). Oggi tali aree coprono appena il 9,68% del Mediterraneo, di cui solo l’1,27% è sostanzialmente regolamentato. Recentemente, una ricerca del WWF Mediterranean Marine Initiative ha rilevato che il 30% del Mediterraneo dovrebbe essere protetto per iniziare a ripristinare gli ecosistemi, consentire alle popolazioni ittiche di riprendersi, mitigare gli effetti del cambiamento climatico e garantire una pesca e un turismo sostenibili, nonché la sicurezza alimentare e la prosperità delle comunità locali.

In conclusione, è quanto mai importante riconoscere la condizione di profonda crisi in cui ci troviamo e definire un obiettivo comune: un Mar Mediterraneo con un ecosistema ricco e resiliente, dove le regole e la pratica della pesca sostengono la salute dell’ambiente marino per le generazioni a venire.

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