Non è stato il pelo nell’uovo, ma sono stati i confini e gli argini della Costituzione a rendere doverosa la pronuncia di inammissibilità del referendum sull’eutanasia emessa ieri dalla Consulta. Certo, resta il sapore amaro dell’effetto rinculo, del contraccolpo che fa erroneamente ritenere, nella superficialità del messaggio mediatico e nella giusta difficoltà della gran parte dei cittadini a entrare nelle ragioni tecniche, che la Corte avrebbe espresso una assoluta bocciatura della stessa possibilità che venga introdotta in Italia una disciplina sulla “dolce morte”. Come invece sicuramente non è, e ne avremo presto conferma dalle motivazioni della decisione della Consulta. Ma chi le legge, le motivazioni? Eppure ciò non toglie che si sia trattato di decisione del tutto doverosa, che in nessun modo vuol toglierci il diritto a continuare a pretendere una riforma che a tanti appare di doverosa civiltà, che appunto la Corte non ha voluto in alcun modo impedirci, con  una decisione che piuttosto insieme esegue e salvaguarda l’assetto costituzionale.

E forse la dichiarazione preventiva di Giuliano Amato che non avrebbero cercato “il pelo nell’uovo”, più che anticipare verdetti approvativi che sarebbero stati inammissibili, intendeva avvertirci di questo. Attenzione se diremo di no, non lo faremo per lana caprina ma per dovere costituzionale, fermo l’altrettanto costituzionale potere-dovere del Parlamento di parlar chiaro e di fare le riforme che i tempi rendono quanto mai mature.

Troppe volte colpevolmente dimentichiamo,  per primi noi giuristi che invece dovremmo ricordarlo per tempo, avendo il dovere intellettuale di segnalarlo, che la Costituzione non solo non prevede, ma sostanzialmente ripudia il referendum propositivo, giustamente mettendoci al riparo da ogni tentazione plebiscitaria. Siamo una democrazia rappresentativa e non già un teatro o una piazza dove l’emotività popolare sia chiamata ogni volta a scegliere tra Gesù e Barabba. Una democrazia rappresentativa che rende quanto mai legittimi governi scelti dal Parlamento, rendendo insopportabile la tiritera di “premier mai eletti”, come se da qualche  parte sia scritto che dovrebbero esserlo. Certo il tema rimanda alla essenzialità di adeguate leggi che maggiormente garantiscano la qualità e la scelta della rappresentanza, e alla vergognosa inadeguatezza delle leggi elettorali degli ultimi decenni; ma questa, come si di dice, è un’altra storia, rispetto alla quale una torsione plebiscitaria sarebbe il classico rimedio, persino  molto peggiore del male.

Tutto questo ci dice perché in Italia le leggi, con la loro fondamentale funzione di riconoscere diritti e assegnare doveri, e soprattutto le grandi leggi di riforma, come sarebbe quella introduttiva dell’eutanasia con la sua necessità di ponderata disciplina, sono rimesse alla mediazione rappresentativa del Parlamento e non possono viaggiare lungo il sentiero friabile delle emozioni collettive dove è il gregge che guida i pastori, con tutto ciò che ne segue.

Il referendum può essere, oltre che consultivo,  solo abrogativo, per togliere qualcosa che c’è già, perché se mai superato dai tempi, e a volte, con funzione ancora più significativa, come fu per il divorzio, per respingere spinte revisioniste a danno proprio delle riforme più avanzate e faticosamente ottenute in Palamento. E non invece per introdurre complessi nuovi istituti, assegnare pur reclamati nuovi diritti, ma  con la accetta referendaria e quindi con la delicatezza che potrebbe avere un elefante in cristalleria. Sicché a ben vedere, era lo stesso annuncio di un “Referendum per l’eutanasia” a portare con sé la sua inammissibilità costituzionale, per la dichiarata funzione propositiva, riformatrice e introduttiva di nuove figure, nuovi diritti, nuovi doveri che non compete alla inevitabile brutalità del quesito referendario introdurre.

Se poi si pretendeva di farlo entrando nel sofisticato equilibrio delle norme penali finendo non già con il riconoscere agognati diritti di scelta ma con il legittimare tutti diversi e autentici reati ci rendiamo conto cosa la Costituzione sicuramente impedisce. E quanto doverosa fosse la decisione assunta ieri dalla Consulta.

Se mai, come sappiamo, sono maturi i tempi nel merito per pretendere che sia il Parlamento a fare la richiesta riforma disciplinando il fine vita, come invece starebbe facendo tardi e male.

Come pure sul versante complessivo della materia referendaria sarebbe il caso di pensare ad una correzione  del sistema, anticipando il giudizio di ammissibilità della Corte costituzionale, rispetto alla mobilitazione popolare e alla raccolta delle firme che ha l’inevitabile effetto di alimentare aspettative e quindi di subire il contraccolpo, pur necessitato, della delusione, come avvenuto ieri con un decisione che oggi ci brucia, ma che, a ben vedere, da un lato non ci taglia la strada e dall’altro ci protegge.

Immagine: Palazzo della Consulta, Roma (23 luglio 2012). Crediti: Richard Mortel [Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0)], attraverso www.flickr.com

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