Un’arbitra che dirige un incontro per la prima volta nella storia dei Mondiali, due ministre che esibiscono la fascia arcobaleno a sostegno dei diritti LGBTQIA+. Nel Mondiale maschile più criticato della storia del calcio, c’è stato spazio anche per le donne. Chi ha perso un’occasione, però, è stata la FIFA che non ha fatto quel passo in più per gettarsi alle spalle l’ennesimo pinkwashing. Non è bastato, infatti, aver affidato ad un’artista, la qatariota Bouthayna Al Muftah, i poster ufficiali, ovvero otto manifesti, per la prima volta realizzati in serie, che hanno per tema la passione per il calcio in Qatar; o aver scelto tra gli interpreti delle canzoni per Qatar 2022 tre donne, la cantante degli Emirati Balqees, la marocchino-canadese Nora Fatehi, l’irachena Rahma Riad e Manal, originaria del Marocco, che hanno cantato Light the Sky. Né è bastato, soprattutto, aver incluso per la prima volta nella rosa degli ufficiali di gara (36 arbitri, 69 assistenti e 24 addetti, in rappresentanza di tutte sei le confederazioni mondiali), tre arbitre e tre assistenti: la francese Stéphanie Frappart, la ruandese Salima Mukansanga, lo scorso gennaio prima donna a dirigere un match della Coppa d’Africa maschile, la giapponese Yoshimi Yamashita, che ha arbitrato alle Olimpiadi di Tokyo, in J League e nella Champions League d’Asia maschili, e, le tre assistenti Neuza Back dal Brasile, Karen Díaz Medina dal Messico, Kathryn Nesbitt dagli USA, tutte selezionate per il torneo dalla Commissione arbitri della FIFA.

«Per noi ‒ ha spiegato Pierluigi Collina, che presiede la Commissione, prima dell’inizio del torneo ‒ conta la qualità e non il genere e mi auguro che in futuro la selezione di ufficiali di gara femminili per importanti competizioni maschili sia ritenuta un fatto normale e non clamoroso». E invece per vedere in campo a dirigere un match di Qatar 2022 da una delle arbitre selezionate abbiamo dovuto aspettare fino a Costa Rica-Germania, incontro valido per il passaggio agli ottavi di finale per le Nazionali del girone E.

A entrare nella storia è stata Stéphanie Frappart, rientrata in patria ben prima della fine del torneo spegnendo così le speranze di chi credeva potesse arbitrare uno degli ultimi incontri visto il buon esordio. In questi anni abbiamo conosciuto Frappart per essere la donna dei primati: nel 2019 è stata la prima ad arbitrare un match di Ligue 1 in Francia, in quello stesso anno ha diretto la finale del Mondiale donne in USA e quindi la Supercoppa UEFA maschile Liverpool-Chelsea. Nel dicembre 2020 è diventata la prima ad arbitrare una partita di Champions League, Juventus-Dynamo Kiev, mentre nel 2020 ha diretto i match di qualificazione ai Mondiali Olanda-Lettonia e Lituania-Irlanda del Nord. Agli Europei ha ricoperto il ruolo di quarto ufficiale.

È sul tema dei diritti, il terreno di gioco più ostico per la FIFA in questo Mondiale, che le donne hanno fatto sentire la propria voce, anche sostenendo le iniziative di alcune Nazionali con gesti di grande impatto mediatico. In un Paese come il Qatar, dove ‒ come ha ricordato Amnesty International ‒ le donne sono discriminate per legge, che a prendere posizione siano state le donne presenti negli stadi non è da considerarsi scontato. Va ricordato, ad esempio, che solo pochi giorni prima del fischio d’inizio del torneo, l’ambasciata USA aveva fornito un dettagliato vademecum dei divieti qatarioti, rivolto soprattutto alle tifose in partenza per il Qatar. «Molte aree pubbliche ‒ faceva notare l’ambasciata ‒ hanno codici di abbigliamento che richiedono che uomini e donne coprano spalle, petto, pancia e ginocchia e che i leggings attillati siano coperti da una camicia o un vestito lungo. Questi standard di abbigliamento possono variare tra quartieri e strutture». E metteva in guardia anche sulle abitudini sessuali: «I rapporti sessuali al di fuori del matrimonio sono illegali in Qatar. Pertanto, le donne incinte devono presentare un certificato di matrimonio per ricevere cure prenatali presso strutture mediche in Qatar. Le donne incinte non sposate e le vittime di violenza sessuale dovrebbero consultare l’ambasciata degli Stati Uniti prima di proseguire le cure».

Donne comuni o che ricoprono ruoli pubblici hanno scelto di schierarsi dalla parte dei diritti. Come la tifosa iraniana che, sugli spalti dello stadio Ahmad bin Ali, prima di Galles-Iran ha esposto una maglietta con la scritta “Mahsa Amini 22”, per ricordare la ragazza arrestata per aver indossato in modo errato l’hijab e morta tre giorni dopo in ospedale a causa delle percosse della polizia.

Un’altra donna, la ministra tedesca dell’Interno Nancy Faeser, ha indossato in tribuna, sotto gli occhi del presidente della FIFA Gianni Infantino, la fascia OneLove negata al capitano della Germania Manuel Neuer e ad altre Nazionali. Rientrata a Berlino dal Qatar la ministra ha spiegato ai cronisti che la scelta della FIFA di vietare ai calciatori di indossare in campo la fascia «è stato un grande errore». Anche la sua collega Hadja Lahbib, ministra degli Esteri belga, sugli spalti si è tolta la giacca mostrando la stessa fascia rispondendo così a Infantino che poco prima le avrebbe spiegato il perché del divieto della FIFA. Anche l’ex calciatrice della nazionale inglese Alex Scott, oggi commentatrice ai Mondiali per la BBC, si è presentata in diretta indossando la fascia arcobaleno. Invece, l’ex capitana della nazionale femminile del Galles, Laura McAllister, è stata invitata a togliersi il cappello arcobaleno che indossava in occasione della partita d’esordio dei gallesi contro gli Stati Uniti. Il fatto è stato reso noto dalla BBC che ha pubblicato un filmato in cui l’ex giocatrice è stata prima fermata ai cancelli dello stadio di Doha da una addetta ai controlli, poi dopo una breve discussione, ha raggiunto il posto in tribuna senza il cappello. E non è passata inosservata sui nostri teleschermi la presa di posizione della direttrice di Rai Sport, Alessandra De Stefano (anche lei tutte le sere ha indossato un braccialetto arcobaleno) in apertura della prima puntata de Il circolo dei Mondiali: «Questo Mondiale non si sarebbe dovuto giocare, o meglio non si doveva assegnare al Qatar», che ha avuto «lo sport più bello del mondo calpestando i diritti umani, corrompendo, imbrogliando, grazie alla complicità dei signori del football, che glielo hanno venduto nel 2010. Gli stessi che, all’inizio, volevano che il Mondiale si giocasse in estate, nel deserto. Una cosa impossibile».

Immagine: Stéphanie Frappart (settembre 2019). Crediti: El Loko Foto [CC BY 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/4.0)], attraverso Wikimedia Commons

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