Un problema psicoecologico, in cui ci imbatteremo sempre più nel futuro. È quanto risulta dalla vasta indagine condotta dall’Istituto Piepoli per conto del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi, appena pubblicata.
Lo studio si colloca sulla scia dello quello planetario pubblicato da Lancet appena un mese fa, nel quale si è stimato un aumento del 28% dei casi di depressione maggiore e del 26% dei disturbi di ansia in tutto il mondo a seguito delle limitazioni sociali legate al Covid. Una vera e propria psicopandemia decisamente sottovalutata in alcuni Paesi, tra cui il nostro. Secondo lo studio italiano, infatti, oltre a un aumento ancora maggiore dei disturbi clinici descritti sopra – con punte di crescita dell’80% ‒ si evidenzia un incremento di patologie a carico dei giovanissimi, con un allarmante +60% dei disturbi legati all’adolescenza e aumenti preoccupanti dei problemi scolastici e della prima infanzia. Sono soprattutto quelle dei minori di 24 anni e degli adolescenti le fasce di età che più si sono mosse alla ricerca di un aiuto psicologico: le richieste di consulenza sono cresciute in generale (+39%, con lo sviluppo prepotente dello strumento della psicoterapia on-line) e in misura maggiore nella popolazione femminile, tradizionalmente più propensa a richiedere tali servizi. Ma il quadro di contenimento del diffuso disagio non può essere soddisfacente, visto che i servizi di prevenzione e cura dei disturbi mentali passano in misura pressoché assoluta dal settore privato: ecco il dato del 21% di abbandoni dei percorsi a causa di difficoltà economiche, e quello del 27% di chi non ha neanche potuto cominciare una psicoterapia per lo stesso motivo.
Mentre altri Paesi europei si sono attivati con misure specifiche per favorire la salute mentale – ultimo esempio la Francia di Macron che ha introdotto il bonus psicologo, un contributo di 40 euro per le prime sedute e di 30 per le sedute successive che ha determinato un boom di richieste – l’Italia risulta fanalino di coda. Se già lo scorso aprile gli psicologi erano stati annoverati tra i “furbetti del vaccino” che saltano la fila (pur avendo firmato nel primo decreto Covid l’obbligatorietà della loro vaccinazione per poter praticare la professione), nel Piano nazionale di ripresa e resilienza non sono previste misure al riguardo, malgrado si stia puntando forte sulla ripresa e lo sviluppo della sanità.
Il presidente dell’Ordine degli psicologi David Lazzari, che già a suo tempo aveva sottolineato come la cura della salute mentale non sia un genere di lusso, ha commentato con noi i dati che emergono dalla ricerca: «in effetti nel nostro Paese si registra la mancanza di una rete pubblica: si rivolge ai professionisti della psicologia solo chi se lo può permettere, malgrado chi abbia problemi economici rischi di essere portatore di maggiori fragilità».
C’è un problema di prevenzione? «Non solo di prevenzione della patologia, ma anche di promozione della salute: la pandemia insegna ancora una volta che non ci si può affidare solo alla cura. È presente, con numeri importanti, una parte sommersa di malessere e disagio, quello psychological strain che incide su salute psicologica e funzionamento quotidiano. Non parliamo dunque solo di malattia, ma di quelle zone d’ombra che non possono venire intercettate con gli strumenti attuali, come i servizi di salute mentale o i medici di famiglia. Sarebbe necessaria la promozione di risorse psicologiche, quella capacità di gestire situazioni in maniera diversa, affinché le persone non si trasformino in pazienti. Con una rete a livello di comunità: scuola, case di comunità, medici di famiglia, servizi sociali, grandi organizzazioni lavorative che patiscono lo stress lavoro correlato. Una tale rete avrebbe funzione di intercettare disagio e impedire che divenga malattia, quanto viene d’altra parte raccomandato dall’UNICEF e dalle agenzie internazionali.
Ci sono buone prassi da seguire? «Il virtuoso sistema inglese del IAPT, programma di accesso alla salute mentale degli adulti che dal 2008 promuove l’accesso a terapie psicologiche con il reclutamento di migliaia di psicologi e terapeuti. Studi economici, tra cui quello della London School of Economics, hanno dimostrato il grande vantaggio finanziario del trattamento psicoterapeutico in luogo di quello farmacologico: per ogni sterlina investita se ne risparmia 1,30. Sono terapie che si ripagano da sole e che vanno a incidere positivamente su una realtà: i problemi psicologici rappresentano la prima voce di disabilità, e il primo fattore di assenza dal lavoro. Non si tratta dunque di un problema individuale ma collettivo: considerando i disagi di giovani e giovanissimi che rischiano di persistere a lungo, bisognerebbe entrare in un’ottica psicoecologica».
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