“La scienza è politica” (F. Basaglia)

Il 13 maggio 1978 entrava in vigore la legge n. 180 (poi assorbita nella 833/1978 istitutiva del Servizio sanitario nazionale), anche nota con il nome del suo principale ispiratore, lo psichiatra Franco Basaglia.

Tale legge, che sanciva la chiusura dei manicomi, fu il frutto di una lunga battaglia e di una vera e propria rivoluzione nel modo di concepire la malattia mentale e la psichiatria, che allora in Italia aveva ancora un approccio strettamente organicistico e si occupava del malato più in termini di custodia che di cura, alienandolo da ogni relazione affettiva e sociale. Basaglia, con un gruppo di altri psichiatri affini alle sue posizioni (confluiti nel 1973 nel movimento Psichiatria democratica), era convinto che in quelle condizioni di ‘cattività’ ed emarginazione a cui erano costretti i ‘matti’ fosse impossibile conoscere alcunché della malattia mentale in sé, che da tanta violenza veniva anzi aggravata, e che come premessa di ogni possibile successiva comprensione – e quindi cura – fosse necessario aprire le porte dei manicomi.

Uno dei simboli di questa battaglia fu la storia di Marco Cavallo. Nel manicomio di Trieste, di cui Basaglia era direttore, il vecchio cavallo da traino utilizzato da anni per il trasporto interno di materiali fu nel 1972 destinato al macello, e personale e internati per salvarlo scrissero – a suo nome – al presidente della Provincia, che accolse la richiesta affidandolo alle loro cure. Da tale esile spiraglio verso l’esterno, nacque l’idea di costruire, all’interno del nosocomio, un enorme cavallo di legno e cartapesta, un’opera collettiva a cui parteciparono artisti (in primis Vittorio Basaglia, cugino di Franco, che lo realizzò materialmente, e lo scrittore Giuliano Scabia), psichiatri (oltre a Basaglia, soprattutto Giuseppe Dell’Acqua), personale, amici e pazienti, tutti coinvolti nelle attività di un laboratorio in cui anche si recitava, si dipingeva, si scriveva, si raccontavano le proprie storie e, soprattutto, si usciva dalla solitudine. A maggioranza fu scelto il colore del cavallo, e poi gli internati vollero riempirne la pancia dei loro desideri – un orologio, degli scritti, delle scarpe nuove – e uno di loro volle addirittura dormirci dentro. Infine, si discusse se farlo uscire: alcuni temevano un’esibizione di quella condizione, o pensavano che più simbolico sarebbe stato lasciarlo dentro come dentro erano loro, o si mostrarono talmente spaventati dalla prospettiva di abbandonare l’ospedale che non volevano farlo – cosa che rende l’idea dello stato di sofferenza dei ricoverati e dell’enorme difficoltà del progetto di Basaglia. Tuttavia, di nuovo a maggioranza si decise alla fine di portarlo fuori e, dopo aver sfondato una delle porte dell’ospedale da cui non si riusciva a farlo passare, il 25 febbraio 1973 una bizzarra sfilata di circa seicento persone attraversò giocosamente le strade della città accompagnandosi all’enorme cavallo azzurro, alla conquista di uno spazio nella società.

Basaglia credeva che la scienza non potesse essere politicamente neutrale, e che fosse compito della società farsi carico dei malati mentali. Non aderì pertanto del tutto alla formulazione della legge, in cui coglieva ancora retaggi troppo ampi di ospedalizzazione e il rischio di nuove forme di isolamento. E si potrebbe dire che la legge fu più un cavallo di Troia per ricondurre i malati di mente nelle famiglie che per inserirli pienamente nella società. Ciononostante si trattò di una vera rivoluzione, e ancora oggi Marco Cavallo – che non ha mai cessato di viaggiare in tutti questi anni – viene utilizzato come simbolo di riscatto dalla emarginazione istituzionale.

Sull’argomento:

Marco Cavallo. Una esperienza di animazione in un ospedale psichiatrico, a cura di G. Scabia, Einaudi, Torino 1976

G. Scabia, Marco Cavallo. Da un ospedale psichiatrico la vera storia che ha cambiato il modo di essere del teatro e della cura, Alpha & Beta, Bolzano 2011

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#manicomio#legge#cavallo#psichiatra#Basaglia