Uno sfondo nero, quaranta secondi di video in inglese come si conviene alla grammatica dei social network, un montaggio su due telecamere e qualcosa da dire: «Hi, I’m Jakub Jankto. Like everybody else, I have my strengths, I have my weaknesses, I have a family. I have my friends. I have a job which I have been doing it as best as I can, for years, with seriousness, professionalism and passion. Like everybody else, I also want to live my life in freedom. Without fears. Without prejudice. Without violence. But with love. I am homosexual and I no longer want to hide myself». Jakub Jankto è un calciatore professionista, ha 27 anni e dunque è ancora nel pieno della carriera, e lo scorso 13 febbraio, con quel video pubblicato sul suo profilo Instagram, si è imposto quale primo calciatore di livello internazionale tuttora in attività (è nel giro della Nazionale della Repubblica Ceca dal 2017, gioca nello Sparta Praga, il suo cartellino è di proprietà del Getafe nella Liga spagnola e ha un passato in Serie A tra Udinese e Sampdoria) a dichiarare la propria omosessualità.

«Come tutti ho i miei punti di forza, ho le mie debolezze, ho una famiglia, ho i miei amici, ho un lavoro che svolgo nel miglior modo possibile da anni con serietà, professionalità e passione. Come tutti, voglio anche vivere la mia vita in libertà. Senza paure. Senza pregiudizio. Senza violenza. Ma con amore. Sono omosessuale e non voglio più nascondermi», questo il suo messaggio, con tanto di disclaimer finale («Questo non è intrattenimento. L’obiettivo di questo video è incoraggiare altri») per chiarire che non si trattava di uno scherzo. Un disclaimer che era solo apparentemente un dettaglio, a saperlo interpretare: lo scorso ottobre dal profilo Twitter dell’ex portiere del Real Madrid e della Nazionale spagnola, Iker Casillas, era uscito un messaggio («Spero che mi rispettiate: sono gay») che in pochi minuti aveva fatto il giro del mondo e che avrebbe potuto cambiare la narrazione dell’omosessualità nel calcio maschile, data la popolarità dell’atleta, salvo poi essere catalogato dallo stesso ex portiere quale scherzo, senza rendersi conto di avere chiarito, con quell’uscita e con il tono della retromarcia, tutti i motivi per i quali diversi suoi ex colleghi non si sentono tuttora liberi di fare coming out.

Il tema, nel calcio maschile e maschilista, resta infatti un sostanziale tabù, anche se negli ultimi anni qualche crepa inizia a notarsi. Intendiamoci: nemmeno troppo tempo fa, in barba a qualsiasi statistica, diversi protagonisti del pallone giuravano, in maniera grottesca, che nel calcio non esistessero gay (sottintendendo la vergogna per chi lo fosse stato), tanto per ricordare il punto di partenza. Il coming out di Jankto è storico perché è quello più rilevante, considerando la carriera, ma non è il primo e, senza andare a ritroso e ricordare Justin Fashanu e Thomas Hitzlsperger, si inserisce nella scia di quelli recenti dell’australiano Josh Cavallo e dell’inglese Jake Daniels, giovanissimo (classe 2005) calciatore del Blackpool, giocatori in attività che quel tabù hanno iniziato a infrangerlo. La gran parte di coloro che hanno commentato il coming out l’ha definito coraggioso, ma se si deve ricorrere a valutare come coraggioso il racconto di un aspetto lecito e normale della propria vita e delle proprie inclinazioni significa evidentemente che i passi da fare sono ancora parecchi, perché il pregiudizio ambientale risulta ancora maggioritario e tutt’altro che latente.

In questo senso, il coming out, nel calcio maschile, banalmente non conviene e il punto è significativo perché un ragionamento del genere rimanda alla percezione e dunque coinvolge pubblico e media. Questi ultimi hanno responsabilità chiare e in Italia non si è perso tempo per confermare che difficilmente ci si può aspettare un aiuto nel cambiare la percezione. Una gratuita e sciocca insinuazione sui gusti di Jankto apparsa sul Foglio (reticente, peraltro, e la toppa sulla «narrazione ossessiva» non è meglio del buco) ha fatto discutere non meno di un titolo altrettanto stupidamente derisorio di Libero («Arriva a fine carriera e scopre che è gay»), a riprova di un retroterra più che vagamente omofobo. Del resto una decina di anni fa, nel contesto di una conferenza stampa nel corso dell’Europeo 2012, l’allora calciatore Antonio Cassano si rese protagonista di alcune frasi non esattamente inclusive rispondendo a una domanda di gossip (se fosse a conoscenza della presenza nel gruppo della Nazionale di omosessuali e metrosessuali) che aveva esattamente l’intenzione di farlo scivolare in un trappolone. Ciò che allora non venne enfatizzato come avrebbe meritato fu, più ancora della teatralità e delle parole di Cassano, la reazione dei giornalisti presenti, le loro risate sguaiate e il darsi di gomito al cospetto di una risposta carica di volgare pregiudizio. Attenzione: si parla di calcio, già sport poco progressista di suo, ma esclusivamente di quello maschile, perché nel settore femminile l’accoglimento dell’omosessualità o di individualità non binarie avviene ormai con una certa naturalezza, per quanto finisca per cadere nello stereotipo che sembra concepire il calcio femminile solo come affare omosessuale. Detto ciò, l’esperienza mediatica porta a rilevare come l’omosessualità negli sport di squadra femminili faccia meno notizia o, comunque, sia socialmente accettata. Quando sarà così anche negli sport di squadra maschili sarà un nuovo passo avanti.

Come ha fatto notare Alex Kay-Jelski su The Athletic, il coming out di Jankto è un test per il calcio maschile, dal momento che è pressoché scontato che il ragazzo arriverà a ricevere insulti omofobi da qualche tifoseria rivale, o magari giocando con la sua Nazionale, in Paesi che considerano gli omosessuali cittadini di serie B. Ecco: dopo gli applausi reali e virtuali nei suoi confronti a seguito del coming out pubblico, scrive Kay-Jelski, è ora, con i comportamenti e con le reazioni agli abusi che eventualmente Jankto subirà, che il calcio deve dimostrarsi un ambiente genuinamente aperto. Quando accadrà, allora si potrà anche smettere di considerare un coming out alla stregua di una notizia, il giorno in cui non interesserà a nessuno e non ci sarà alcun bisogno di ragionare in termini di convenienza. Quel giorno non è oggi, ma forse, almeno nei Paesi occidentali, non è neppure così lontano come poteva apparire anche solo una mezza dozzina di anni fa.

Immagine: Jakub Jankto (20 settembre 2020). Crediti: ph.FAB / Shutterstock.com

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