La Festa della Repubblica cade quest’anno in un momento particolare che in qualche modo rispecchia il senso profondo della ricorrenza; il 2 giugno è una data che rimanda all’idea di rinascita, dopo il buio della dittatura e la tragedia della guerra. Anche ora l’Italia prova a ripartire, uscendo dalla selva oscura della pandemia e da ciò che ha comportato, con il triste bilancio dei lutti, la difficile congiuntura economica, le ferite profonde al benessere civile della nazione, in termini di partecipazione e di coesione sociale.
E settantacinque anni dopo, servirebbe forse lo spirito di quel tempo. Perché il 2 giugno non sancì un ritorno alla normalità ma piuttosto un salto in avanti, un cammino nuovo, dal punto di vista della crescita civile e democratica. Il 2 e il 3 giugno del 1946 non si sceglieva soltanto la forma istituzionale dello Stato; si eleggevano anche i membri dell’Assemblea costituente che forgiò quell’assetto istituzionale e sociale dentro il quale e grazie al quale ancora oggi organizziamo il presente e progettiamo il futuro. E per la prima volta la scelta avveniva a suffragio universale, con la dirompente novità del voto delle donne. Non si ritornava quindi alla limitata e patriarcale democrazia liberale ma ci si incamminava in un mondo nuovo.
Il fatto che si manifestarono allora così forti resistenze al cambiamento, che il passaggio non sia avvenuto in modo unanime ma dentro contrasti e conflitti, che il Paese si sia trovato tredici mesi dopo il 25 aprile sul bilico di una risorgente guerra civile, aumenta in un certo senso il valore non solo simbolico di questa data. Resistenze fortissime al cambiamento scesero in campo, spesso apertamente, talvolta in modo opaco. Comunque 10.719.284 elettori votarono per conservare la monarchia e più di 1.200.000 italiani premiarono nelle urne l’avventura dell’Uomo qualunque, impregnata di nostalgia per il passato regime. Soprattutto, l’Italia si presentò divisa tra un Sud prevalentemente monarchico e un Nord nettamente repubblicano; eppure il Paese ha retto, è cambiato ed è andato avanti, fra scossoni e conflitti.
Certo non tutte le premesse e le promesse di quella stagione furono mantenute: le donne votarono, ma all’Assemblea costituente le elette furono soltanto 21 su 556 deputati. Le donne entrarono in Parlamento, ma dovettero attendere fino al 1963 per essere ammesse nelle fila della magistratura e fino al luglio del 1976 perché la prima donna diventasse ministro. Tante conquiste costituzionali sono rimaste non pienamente attuate: però il salto in avanti è stato grande e ci spinge ancora oggi a celebrarlo e a difenderlo. La ricorrenza civile del 2 giugno può dare una nuova spinta all’attuale ripresa, affinché questa Italia convalescente e un po’ inerte oltrepassi i confini del semplice ritorno alla normalità e si dia l’occasione per un rinnovamento e un rilancio.