Nel settembre 2007, dopo la Laurea a Bologna, sono partita per l’Inghilterra per motivi di studio. All’estero ci sono rimasta sin da allora e nonostante ciò non mi definisco un “cervello in fuga”. Io, in questa etichetta, non mi ci identifico. Anzi mi è sorto il dubbio che essa rifletta maggiormente lo scrutare da lontano e la retorica di chi ci osserva dall’Italia. Non penso, inoltre, che questa definizione sia adatta ad abbracciare la moltitudine di giovani che si sono recati all’estero per i motivi più disparati. Per tutte queste ragioni qualche giorno fa ho lanciato una piccolissima inchiesta fra alcuni Italiani all’estero, servendomi della pagina Facebook della Oxford University Italian Society e dei miei contatti. Ciò che segue è un collage delle risposte che ho ricevuto, una coralità da Purgatorio dantesco dalla quale ho bandito ogni confine, anche quello delle virgolette. Le domande erano: 1.Ma voi Italiani all'estero vi sentite oppure no “Cervelli in fuga”? 2.Ha ancora senso usare questa etichetta**?**

NO, no e poi no! Tutti l’hanno ripetuto forte e chiaro. Le ragioni? C’è chi è emigrato non tanto per mancanza di opportunità, ma perché voleva avvicinarsi ai migliori nel proprio settore e l’avrebbe fatto con o senza la crisi. C’è chi l’ha fatto per reagire ad un senso d’immobilità e per ritrovare passione e vigore nel proprio lavoro. C’è chi ha deciso di trasferirsi per un percorso di ricerca personale, perché dopo l’Università, in Italia gli stimoli intellettuali erano scomparsi. Su questo punto urge ricordare che molti Italiani all’estero restano profondamente grati all’ateneo di origine, ma sono anche consapevoli che, sebbene questo abbia contribuito ad una solida formazione culturale, in un certo senso abbia anche fallito nell’incoraggiare l’intraprendenza e lo spirito critico. Un problema molto serio, quello del dinamismo dell’Università italiana, che ha spinto molti giovani a cercare altrove, ma per scelta, non per fuga.

In tutti questi casi mi sembra quindi che il dibattito debba essere spostato sullo scarto d’attrattività fra l’Italia e il Paese d’arrivo che, per svariate ragioni, spesso offre ambienti lavorativi, non solo scientifici ed accademici, più rigogliosi e stimolanti. Come suggerisce un’Italiana in Inghilterra, invece di concentrare le nostre energie sulla questione della fuga, sarebbe forse più opportuno inaugurare una discussione più ampia sul clima intellettuale, culturale e lavorativo dell’Italia, e su una certa incapacità di fare delle scelte basate sulla lungimiranza che potrebbero rendere il nostro Paese più allettante per Italiani e non.

Si parte quindi per scelta, qualsiasi essa sia (studio, lavoro, noia, sfida, amore) dichiarano in molti, ma sicuramente non per fuggire. Infatti, è soprattutto la “fuga” nei “cervelli in fuga” che infastidisce, non che ci piaccia essere metonimicamente trasformati in una parte del corpo, neppure così bella da vedere. Si va all’esterno non perché l’Italia non piaccia, ma per curiosità, per mettersi alla prova ed inseguire i propri sogni. Non è forse un istinto naturale, la curiosità dei vent’anni? come suggerisce un’Italiana che lavora in un’università statunitense. Gli Italiani all’estero non sentono di essere scappati dal Paese d’origine e molti di loro non si sentono neppure traditi dall’Italia. Definire questi cervelli “in fuga”, suggerisce una studentessa italiana in Inghilterra, è quantomeno impreciso perché la mobilità è un semplice riflesso del processo molto più ampio di globalizzazione. E forse sono i mezzi di comunicazione di massa che amano questa etichetta perché l’uso della parola “fuga” immediatamente richiama una certa drammaticità. E il drammatico, si sa, è sempre piaciuto.

Del resto in fuga da dove? La risposta collettiva forse più interessante è radicata in una mentalità che precede l’idea della partenza: per molti di noi i confini non sono mai esistiti, anche prima, quando eravamo Italiani in Patria. Un’Italiana in Irlanda, che ha anche vissuto in Scozia, Spagna e Francia, per esempio, dichiara di avere sempre coltivato uno spirito autenticamente europeo, di non essere emigrata o fuggita, ma di essersi ritrovata sempre in quella grande casa chiamata Europa. Forse, suggerisce, la percezione dell'espatrio è diversa per chi si trova in altri continenti. Ma forse no, incalza una ragazza negli Stati Uniti, affermando che le nazioni sono costruzioni mentali e i confini spesso linee arbitrarie. Del resto quante differenze, quanti campanilismi tra regioni, province, paesini, anche in Italia! Qualcun altro suggerisce, più poeticamente, che siamo semplicemente persone che hanno tentato altre strade e che non si sono arrese alle dittature della geografia.

Cosa concludere da questa istantanea degli Italiani all’estero? Emanuele Ferragina, un altro giovane Italiano che come me insegna a Oxford, invitato ad un convegno già nel 2011 affermava: “Basta con la retorica della fuga dei cervelli. Basta, basta, basta! Ve lo chiediamo noi Italiani all’estero perché noi non siamo più lontani, siamo vicini con le nuove tecnologie è facilissimo partecipare al dibattito, è facilissimo dare una mano al nostro Paese […] ci sono tante persone che aspettano solo un segnale […] non per forza tornando e vivendo qui stabilmente. Il Paese deve essere reso attrattivo. Il problema non è andare via, viaggiare educa…”. Mi sembra che questa testimonianza riassuma bene il sentimento di moltissimi di noi.

In cosa sperare? Che le vere voci degli Italiani all’estero siano diffuse fra gli Italiani in Patria. Che, come suggeriva recentemente Nicola Gardini, si riapra un dibattito costruttivo su questioni d’identità fra Italiani all’estero, cosicché molti si possano aggiungere a questa corale. Infine, che si instauri un confronto costruttivo e solidale, non antagonistico, tra gli Italiani in Patria e gli Italiani all’estero per scoprire che, dopo tutto, non siamo poi così lontani…

* Trinity College e Balliol College (Oxford)

Ringrazio i cantori di questa corale fra i quali Ida, Marina, Simone, Raffaele, Emanuele (più di uno), Caterina, Luca, Francesco, Alessandro, Lucia, Lory, Thomas, Paolo, Nicola, Enrico, e tanti altri. Ringrazio anche la Oxford University Italian Society per aver ospitato il mio piccolo sondaggio sulla sua pagina Facebook.

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