28 giugno 2020

La città post-Covid

 

Il Covid-19 è stato la prima pandemia dell’era urbana. Secondo Harris Ali e Roger Keil della York University di Toronto, studiosi degli effetti delle epidemie sui sistemi urbani, la metropoli moderna è il luogo perfetto per lo sviluppo dei virus: in essa convergono giornalmente da tutto il globo flussi enormi di persone (pendolari, businessmen, turisti, rifugiati), e l’alta densità della popolazione facilita la diffusione dei contagi. L’impatto del Covid-19 sulle città è stato fortissimo: oltre ai problemi di gestione dell’emergenza sanitaria, ha ridefinito e accelerato criticità che erano già in atto soprattutto nei grandi sistemi metropolitani. Prima tra tutte, la mobilità: i problemi di accesso e affollamento dei mezzi pubblici hanno ridato attualità alle questioni del traffico e dei parcheggi, e allo stesso tempo hanno aumentato la domanda per forme di mobilità lenta, riguardanti non solo le aree centrali ma anche le connessioni con le periferie. Il lockdown ha altresì portato alla riscoperta del valore dello spazio pubblico, diventato prezioso con la necessità del distanziamento sociale: le città dovranno gestire le dispute relative alla destinazione d’uso degli spazi pubblici mediando tra gli interessi in campo (si pensi ai marciapiedi contesi tra pedoni, jogger, ristoratori e commercianti) e dovranno avviare politiche forti di qualificazione e riuso delle aree degradate, per rimetterle a disposizione delle comunità. Un ulteriore tema tornato alla ribalta è quello dell’inquinamento ambientale, un fattore che pare aver aumentato l’aggressività del virus nel Nord Italia: si dovrà quindi puntare a città più verdi, meno congestionate, più sostenibili.

Oltre alle conseguenze immediate sulla vita e sul funzionamento delle città, l’emergenza Covid-19 ha ridefinito il rapporto tra urbano e rurale, modificando molti dei fattori che lo influenzavano. L’impatto del lockdown sulle economie urbane e su quelle familiari ha messo a rischio la possibilità di molti cittadini di mantenere un ruolo e un’abitazione all’interno del centro cittadino. Ma soprattutto la pandemia ha prodotto una nuova narrativa delle aree metropolitane, che sono viste ora come luoghi più pericolosi, almeno per quanto riguarda la salute, rispetto ai territori meno densamente urbanizzati. È prevedibile una rivalutazione di soluzioni abitative caratterizzate da maggiori metrature, con giardino o con facile accesso ad aree verdi. Soluzioni che per la maggior parte delle persone implicano uno spostamento verso le aree periferiche e suburbane, e un conseguente allungamento degli areali del pendolarismo. Questa tendenza, definita dal sociologo Éric Charmes come la “vendetta dei villaggi”, era già presente da alcuni decenni nelle grandi regioni urbane italiane ed europee, ma ha subito negli ultimi anni un’accelerazione, aumentata ulteriormente dal lockdown: chi fugge dalle città ricerca una maggiore qualità della vita e dell’ambiente, ritmi più lenti e rapporti comunitari più forti, ma vuole comunque poter raggiungere facilmente le aree centrali, dove si concentrano opportunità di lavoro ben retribuito, occasioni culturali, servizi commerciali e per il leisure. Nel periodo post-Covid, i mutamenti delle preferenze residenziali dei cittadini potrebbero essere l’occasione per ripensare gli equilibri territoriali nelle grandi regioni urbane, riducendo almeno in parte i divari tra i territori metropolitani e quelli rurali oggi alla base di crescenti proteste, quali quelle incarnate in Francia dal movimento dei gilet jaunes che lamentano le disparità causate da un’ineguale distribuzione spaziale dei servizi pubblici essenziali, dai trasporti alle scuole e alla sanità.

Per rendere più attrattive le aree periferiche e quelle interne occorre però sia garantita la presenza di connessioni stradali e ferroviarie rapide con i centri urbani, in modo da permettere il pendolarismo di lavoratori e studenti, e soprattutto che sia completata capillarmente la rete della banda ultralarga, necessaria per lo smart working ma anche per servizi telematici diventati fondamentali: pubblica amministrazione on-line, e-commerce, assistenza sanitaria in remoto.

Un modello di urbanizzazione meno concentrato sulle grandi città pone alcuni rischi evidenti, legati in primo luogo al consumo di suolo e al degrado ambientale: per scongiurarli, e per evitare un incremento della competizione a somma zero tra territori per l’attrazione di nuovi residenti, è prioritario ridefinire i modelli di programmazione territoriale, che ancora scontano in Italia una fortissima frammentazione alla quale solo in parte ha posto rimedio l’istituzione delle città metropolitane. All’idea della scala, spesso ricercata attraverso tentativi di accorpamento forzato, bisogna sostituire l’idea della rete, ragionando orizzontalmente e traendo vantaggio dalla varietà del tessuto urbano, in cui i differenti percorsi hanno portato ciascun territorio a sviluppare specifici elementi di valore: una visione policentrica dello sviluppo, costruita insieme dai governi locali, potrebbe consentire di governare il cambiamento nella direzione dell’equità e della sostenibilità. Serve però una capacità di collaborazione inter-istituzionale che è ancora in gran parte estranea alle culture e alle prassi delle pubbliche amministrazioni.

 

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