1 luglio 2020

Una dimensione europea per lo sport

 

Il dibattito seguito allo scoppio della pandemia da Coronavirus riguardante gli stop e le ripartenze dello sport professionistico ha evidenziato limiti, lacune e non poche contraddizioni.

Il campionato di calcio di Serie A ha fatto registrare un confronto acceso che non sembrava indirizzato all’approfondimento delle conoscenze tecnico-scientifiche necessarie per rafforzare la tutela della salute nel settore; una discussione che ha lasciato invece la netta sensazione di essere guidata dagli interessi economici delle società sportive e delle pay tv, dall’obiettivo di conquistare un trattamento “differenziato” per i calciatori e le società sportive; in altre parole, una “quarantena soft” in caso di nuovi contagi, solo in apparenza un privilegio che, in caso di recrudescenza del virus, finirebbe per produrre pericolose conseguenze sulla salute e la sicurezza delle persone, a cominciare dallo stesso mondo del calcio che l’ha richiesta. Un ambiente da cui ci si sarebbe attesa maggior prudenza visto che non è stato risparmiato dalla virulenza del Covid-19: dalla Juventus, a cominciare dall’argentino Paulo Dybala, al Milan con il campione, ora dirigente, Paolo Maldini; positivi anche al Torino, alla Fiorentina, alla Sampdoria.

E maggior prudenza sarebbe richiesta se solo si pensa a cosa si sarebbe potuto e dovuto fare per evitare contagi e decessi seguiti agli assembramenti per le partite Atalanta-Valencia e Liverpool-Atletico Madrid. Quegli ottavi di finale di Champions League del 19 febbraio a San Siro definiti dagli esperti “partita zero”, una “bomba letale” che ha determinato la rapida diffusione del virus nella bergamasca e in Spagna dopo aver messo insieme 45 mila tifosi, italiani e spagnoli, che hanno affollato le tribune del Meazza, treni, metro, strade e piazze, mentre già si riempivano gli ospedali della Lombardia. La partita di ritorno si giocò il 10 marzo al Mestalla di Valencia, a porte chiuse, ma con circa 2 mila tifosi spagnoli asserragliati a ridosso dello stadio e Mister Gasperini che ha dichiarato successivamente alla Gazzetta dello Sport di aver avuto sintomi compatibili col virus durante quella gara; circostanza confermata dallo stesso allenatore che ha dichiarato ai microfoni di Sky Sport di aver scoperto la sua positività quando a maggio ha fatto i test sierologici.

L’altro match che viene definito “La partita della morte”, quello di Anfield dello scorso 11 marzo, la partita di Champions tra Liverpool e Atletico Madrid che, secondo uno studio condotto da Edge Healt (società che analizza i dati per il servizio sanitario britannico) fu una vera e propria “bomba virologica” provocando ben 41 morti da Coronavirus. Gli spettatori furono 52 mila, 3.000 dei quali giunti da Madrid dove era già stato adottato un blocco parziale. Secondo la ricerca in Spagna, in quel momento, si registravano già circa 640 mila persone infette; 100 mila, invece, in Inghilterra. I 41 decessi secondo lo studio sarebbero avvenuti tra i 25 e i 35 giorni successivi alla partita.

Non si tratta di demonizzare lo sport, ma la positività al Covid-19 di Novak Djokovic, attuale numero uno del tennis mondiale, rappresenta un monito da non sottovalutare. Il tennista che ha organizzato il torneo “Adria Tour”, senza le sufficienti misure di distanziamento sociale, ha reso nota la sua positività e quella di sua moglie dopo che altri tre partecipanti al torneo, Coric, Dimitrov e Troicki, e alcuni componenti dello staff tecnico, erano già stati contagiati. La manifestazione è stata sospesa prima della finale; ora c’è grande preoccupazione, considerata l’imponente cornice di pubblico e la partecipazione dei campioni del tennis a numerosi eventi pubblici senza l’uso di adeguate precauzioni.

Altri rilevanti eventi sportivi sono stati rimandati se non addirittura annullati in seguito ad un dibattito che è apparso a volte più lineare, anche se ugualmente doloroso e contraddittorio.

Le Olimpiadi di Tokyo 2020 non sono rimaste immuni dagli effetti del Covid-19, che ha provocato lo spegnimento della fiamma olimpica prima ancora della sua accensione. Una decisione presa tra il primo ministro Shinzo Abe e il presidente del Comitato olimpico internazionale Thomas Bach. La fiaccola olimpica che sarebbe dovuta partire da Fukushima si riaccenderà nel 2021. Un rinvio non facile, che ha rappresentato una novità assoluta nella storia delle Olimpiadi moderne. Così, il 23 giugno si è celebrato un inedito Olympic Day per ricordare la ricorrenza della fondazione del Comitato olimpico internazionale. In contemporanea, atleti di tutto il mondo hanno dato vita ad una diretta social per lanciare un messaggio di speranza e per preparare i Giochi olimpici come un momento di solidarietà e resilienza dell’umanità.

La 134esima edizione di Wimbledon, il più famoso torneo di tennis al mondo, a causa della pandemia, si giocherà dal 28 giugno all’11 luglio, ma nel 2021. Il Coronavirus ha determinato infatti un doloroso, ma altrettanto deciso annullamento dello Slam che si gioca sull’erba londinese. L’All England Club, molto prudentemente, ha deciso per l’annullamento, confidando nell’arrivo di un vaccino o di cure più efficaci, per poter riorganizzare l’evento in assoluta sicurezza. Si è trattato di un fatto eccezionale per il torneo ricco di fascino e tradizione nato nel 1877, fermato solo due volte nella storia, durante le due guerre mondiali.

Il Roland Garros, l’Open di Francia di tennis che si gioca sulla terra rossa è stato invece solo sospeso. I francesi hanno giocato d’anticipo e si sono affidati alla prevista clemenza del virus durante i mesi più caldi. “A causa della crisi della salute pubblica connessa al COVID-19 che ha colpito il mondo intero, al fine di garantire la salute e la sicurezza di tutti i soggetti coinvolti nel torneo – si legge in una sobria nota ufficiale ‒ la Federazione Francese di Tennis (considerati i recenti sforzi compiuti per la modernizzazione dello stadio n.d.r.), ha deciso di posticipare l’edizione 2020 che si giocherà con qualche mese di ritardo, dal 20 settembre al 4 ottobre 2020. Una decisione responsabile – per gli organizzatori ‒ presa per unirsi alla lotta contro il Coronavirus, per proteggere la salute dei suoi dipendenti, nell’interesse della comunità di tennisti professionisti, la cui stagione 2020 è già stata compromessa, per tutelare i numerosi fan del tennis e del Roland-Garros, nonché di tutto l’indotto”.

In Formula 1 a causa del Coronavirus diverse tappe del mondiale hanno subito un lungo pit stop. Anche qui si è scelto di alzare bandiera bianca davanti al virus. Per il recupero della stagione è previsto un tour de force, a partire da luglio, con la programmazione di gare che si incastreranno in quasi tutti i week end.

Intanto, mentre gli appassionati di sport si consolavano con la ricca offerta delle repliche televisive che riproponevano le imprese dei loro beniamini, la rivista americana Forbes ha aggiornato la tradizionale classifica degli sportivi più pagati al mondo.

Per la prima volta nella sua carriera, Roger Federer, il trentottenne svizzero pluridecorato, considerato dai più il GOAT del tennis (Greatest Of All Time, “Il più grande di tutti i tempi”) è diventato lo sportivo più pagato: 106,3 milioni di dollari incassati tra giugno 2019 e giugno 2020. King Roger, dopo i record sui campi di tutto il mondo conquistati in vent’anni di una carriera che sembra ancora interminabile, è diventato anche il primo tennista, negli ultimi trenta anni, ad arrivare al primo posto nella speciale classifica dei Paperon de’ Paperoni dello sport. Per gli amanti delle statistiche, lo svizzero è anche il primo sportivo a riuscire nell’impresa alla tenera età di 38 anni.

In questa invidiabile classifica, Federer ha messo in fila dietro di sé nientemeno che il portoghese della Juventus Cristiano Ronaldo e l’argentino del Barcellona Lionel Messi, che completano il podio rispettivamente con 105 milioni e 104 milioni di dollari. Il brasiliano del Paris Saint Germain Neymar sfiora la medaglia di bronzo con 95,5 milioni di dollari. Subito dopo i protagonisti NBA, LeBron James, Stephen Curry e Kevin Durant. Ottavo, il golfista statunitense Tiger Woods. Fanalini di coda i due giocatori di football americano, Kirk Cousins e Carson Wentz, e il pugile britannico Tyson Fury.

Tra i top 100 non figura nessun atleta italiano. Mentre, la prima donna in classifica è la giapponese Naomi Osaka, 29esima con 37,4 milioni di incassi. Tuttavia, il Coronavirus ha ridimensionato anche il reddito dei 100 atleti più pagati del mondo che hanno guadagnato in totale, nel 2020, 3,6 miliardi di dollari, il 9% in meno rispetto al 2019.

Di fronte a queste cifre, la discussione sulla chiusura e le ripartenze ha evidenziato, oltre ai richiamati rischi, anche la sua autoreferenzialità, facendo aumentare il divario e la lontananza dello sport dalla vita reale.

Si guardi agli sport minori, quelli che entrano quotidianamente nella vita delle persone, procurando benessere psicofisico, migliorando i rapporti interpersonali, l’autostima, il rendimento scolastico, assicurando benefici nella qualità della vita delle famiglie.

Palestre, scuole di tennis, di danza, di calcio, di basket, piscine, con tutto i loro carico di figure lavorative e professionali, chiuse dall’inizio della crisi, hanno subito un duro colpo. Inutile illudersi su una ripartenza a pieno ritmo nel breve periodo. L’alta stagione è già andata in fumo. La fase attuale fa registrare una ripresa minima delle attività in una stagione in cui normalmente le strutture sportive chiudono per la pausa estiva. D’altra parte, la crisi ha colpito i lavoratori e le famiglie che difficilmente potranno permettersi ancora i costi elevati legati all’attività sportiva. E quando in autunno si potrà riaprire a pieno regime, in assenza di vaccino e cure efficaci, con l’elevata probabilità che il virus riprenda a circolare, tra nuove misure di sicurezza e paure, sarà difficile ricominciare. L’emergenza sanitaria ha stravolto l’organizzazione dei centri sportivi. Chi vorrà ripartire dovrà reinventarsi e reinvestire rispettando le misure di sicurezza, limitando l’accesso delle persone nel rispetto delle distanze, prevedere l’uso di mascherine, igienizzanti, la pulizia costante dei locali. E non tutti hanno le possibilità di Juventus, Real Madrid, Barcellona, della Ferrari o della Rafa Nadal Academy. L’intero settore potrebbe chiudere definitivamente con danni enormi per tutta la società. Un settore fondamentale che ha bisogno di essere protetto non solo con la sospensione/riduzione delle incombenze fiscali e delle bollette e neanche con i contributi e i sostegni a fondo perduto che possono servire al massimo per un po’ di sollievo per gli attuali problemi di liquidità.

Per riprogettare il futuro appare più che mai necessaria una “Dimensione europea dello sport”. Concetto già introdotto dall’Unione Europea, ma mai efficacemente perseguito, che dovrebbe favorire il raggiungimento di obiettivi come la tutela dei minori e l’inclusione sociale, la lotta contro le partite truccate, il doping e la corruzione, la violenza ed il razzismo, l’innovazione dello sport nel rispetto della salute e dell’ambiente. Con il trattato di Lisbona l’UE ha acquisito competenze specifiche nello sport, allora bisogna svolgere azioni tese a sostenere o completare l’azione degli Stati membri.

Occorrono progetti e finanziamenti che rimettano in campo le politiche per lo sport inteso come un insieme di valori positivi, quello che in Grecia assunse le caratteristiche di un fenomeno di larga diffusione, che ha dato vita a quei Giochi olimpici che determinavano la tregua dei conflitti armati. Quello per cui la conquista delle vittorie olimpiche consacrava, insieme con il vincitore della competizione, la città da cui lo sportivo proveniva.

Le scuole aperte allo sport sono una condizione essenziale, con pomeriggi sportivi, corsi gratuiti per gli studenti tenuti da tecnici federali nelle palestre, con kit di attrezzature tecniche e di sicurezza disponibili per tutti, con percorsi insieme a testimonial sportivi, campioni di “fair play”, protagonisti di eventi sul territorio con l’obiettivo di diffondere il gioco corretto.

Promuovere la concreta, libera e uguale partecipazione femminile nello sport è una priorità assoluta. Non bisogna dimenticare che solo sulla carta le donne possono praticare tutti gli sport ai massimi livelli agonistici, un diritto fondamentale che risulta più formale che sostanziale, a cominciare dai Paesi occidentali dove esiste grande disparità tra uomini e donne sia nell’accesso alle discipline sportive, sia per le opportunità economiche e sociali, sia in materia di notorietà e di sostegni all’attività sportiva. Non si può parlare di uguaglianza nello sport se una ragazza che gioca ai massimi livelli nella Serie A del campionato di basket italiano, stabilmente convocata in nazionale, arriva a guadagnare meno di un cestista del campionato di Serie B maschile.

Per dare vita concretamente alla “Dimensione europea dello sport” occorre che lo sport sia davvero accessibile a tutti. Proviamo a chiederci chi sono i giovani o quali sono le famiglie che possono permettersi il lusso di partecipare da spettatori ad un importante torneo sportivo.

La Gazzetta dello Sport, utilizzando una buona dose di ironia, ci informa che “Con un bel po’ di fortuna ci si può comprare un abbonamento al paradiso del tennis. L’All England Lawn Tennis Club ha annunciato il prezzo per i 2.520 abbonamenti pluriennali ai tornei di Wimbledon che si disputeranno tra il 2021 e il 2025. Servono 80.000 sterline, 30.000 in più rispetto al prezzo dell’abbonamento 2016-20, ma bisognerà anche vedere quanti dei fortunati possessori di questi tagliandi rifiuteranno la prelazione. Ci sono famiglie che confermano il loro posto a Wimbledon dal 1920, di generazione in generazione. L’abbonamento ha, di fatto, un valore finanziario”.

Mentre un approfondimento di Panorama ci ricorda che “Assistere alla cerimonia d’apertura di Rio 2016 è costato poco più di 1.500 euro; 400 per ammirare dalla prima fila la leggenda Usain Bolt o il Dream Team del basket americano, 300 la finale di calcio maschile, 200 le gare finali di tennis. Mentre quattro anni prima, la cerimonia d’apertura di Londra è arrivata a costare oltre 2.500 euro, più di 500 euro la finale di basket”. Prezzi inaccessibili ai più.

Per fare in modo allora che i grandi eventi sportivi non si rivolgano solo ad una ricca élite, occorre dare una possibilità concreta agli studenti e alle famiglie di conoscere realmente da vicino non solo Wimbledon e le Olimpiadi, ma anche la Laver Cup, il campionato di calcio di Serie A, la Champions League, il Roland Garros, la Formula 1 o gli Internazionali di Tennis d’Italia. Insomma, i grandi avvenimenti sportivi come un’opportunità per celebrare le prestazioni, i valori e i benefici dello sport, insieme alla sua gestione sana e alla buona governance.

Servono, innanzitutto, politiche che inducano gli organizzatori a calmierare i prezzi dei biglietti. Poi, bisogna puntare a progetti europei per sostenere la partecipazione di studenti e famiglie ai grandi avvenimenti sportivi. Promuovendo programmi transnazionali per supportare lo sport pulito, diffondendo le buone pratiche, anche scommettendo sulla dimensione economica e occupazionale degli sport, favorendo un nuovo rapporto con la società, con l’ambizione di incoraggiare l’attività fisica per tutti attribuendo un ruolo speciale alle scuole, alle associazioni sportive, ad allenatori, Enti culturali, mezzi di informazione, permettendo ai giovani di studiare anche la pratica sportiva con scambi tra Paesi dell’Unione Europea.

Lo sport è uno strumento fondamentale in un percorso che consente di parlare alle nuove generazioni. Lo sport internazionale un modo per allargare i confini. I grandi eventi sportivi un esempio da mostrare non solo per la bellezza legata ai gesti atletici, ma anche per lo sforzo, la concentrazione, la serietà e il lavoro che servono per organizzarli.

I Comuni e le Regioni sono chiamati ad assumere un ruolo di primo piano per supportare il più possibile le attività di promozione sportiva. Bisogna saper guardare alle buone prassi di molti Paesi europei che, investendo sullo sport, hanno attuato una efficace politica di prevenzione, diminuendo la spesa sanitaria e contenendo problematiche sociali. Vanno coinvolti le associazioni sportive dilettantistiche, il volontariato, sviluppati progetti volti a incentivare, attraverso lo sport inteso come valore costituzionale, il contrasto all’emarginazione e alle discriminazioni, l’integrazione femminile, dei giovani, delle famiglie, dei disabili, delle minoranze etniche, dei migranti e di gruppi sociali vulnerabili, in tutte le fasce della popolazione, sia per divertimento che per ragioni di salute, sia per agonismo che per introdurre elementi di sana innovazione nei luoghi di lavoro. Per investire sul futuro del Paese e dell’Europa, non solo dello sport.

 

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Crediti immagine: Foto di Mircea Iancu da Pixabay

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