14 febbraio 2021

La grande sete e le guerre per l’oro blu

La parola rivale viene dal latino rivalis, derivazione di rivus, ruscello. Secondo il Vocabolario Treccani inizialmente voleva dire «chi spartisce con altra persona l’acqua d’un medesimo ruscello, a scopi agricoli». La facilità con cui quel medesimo ruscello genera contese, soprattutto quando non c’è acqua o non ci sono regole per distribuirla, cambia il significato della parola rivale. Così la spartizione dell’acqua genera gelosia, competizione e conflitto. Così la gestione dell’acqua diventa gestione di conflitti.

La prima guerra per l’acqua di cui si ha notizia è avvenuta più di 4.500 anni fa, alla confluenza dei fiumi Tigri ed Eufrate, nell’attuale Iraq. Quando la città-Stato di Lagash deviò il flusso del Tigri lasciando letteralmente a secco la città di Umma, che si trovava più a valle, le due città entrarono in conflitto.

Al giorno d’oggi la gestione dell’acqua continua a causare tensioni, che però raramente causano dei conflitti armati fra nazioni. Nella maggior parte dei casi, quando due Paesi devono risolvere un tema legato all’acqua e alla sua gestione riescono normalmente a trovare una soluzione pacifica. Ad esempio, le acque del fiume Senegal, condiviso da Guinea, Mali, Mauritania e Senegal, vengono gestite in maniera cooperativa dai quattro Paesi, per permettere a tutti di sfruttare la ricchezza generata dal fiume con la produzione idroelettrica e l’irrigazione.  Molto spesso quindi la gestione dell’acqua è un’opportunità per arrivare a soluzioni cooperative che garantiscano gli interessi dei Paesi coinvolti. 

Allora perché continuiamo ad avere paura dell’acqua e delle guerre per l’oro blu? Indubbiamente negli ultimi anni la percezione delle grandi catastrofi ambientali e dei rischi di esaurimento delle risorse è aumentata. L’acqua in particolare ci fa più paura perché è così variabile ed imprevedibile. Questa sua variabilità genera rischi, che la società moderna tecnologica cerca di controllare ma che continuano – in parte – ad eludere il nostro controllo. Nel dramma del cambiamento climatico, questi rischi aumentano perché un pianeta più caldo significa ghiacciai che si sciolgono, inondazioni più frequenti, siccità più lunghe.

Inoltre, l’aumento della popolazione conduce inevitabilmente ad un maggior consumo delle risorse idriche che sono rinnovabili, ma non infinite. Quindi ci viene naturale pensare che la pressione demografica condurrà all’esaurimento delle risorse e che di conseguenza le nazioni inizieranno a combattere per accaparrarsi l’oro blu. È la paura della grande sete, che ci fa vedere l’acqua solamente come una minaccia. Questa paura è fondata, e ha anche un nome. Si chiama malthusianesimo, dal nome dell’economista inglese Thomas Robert Malthus che per primo teorizzò le conseguenze della crescita demografica sulle risorse naturali.

Anche se la paura della grande sete è recente, l’esaurimento dell’acqua è un tema che ci accompagna da sempre. In tutte le religioni monoteiste nate nel deserto, il Paradiso è verde, proprio perché quaggiù sulla Terra l’acqua scarseggia. Questa presenza dell’acqua nella lingua e nella religione ci ricorda come la sua gestione sia – come tutti i problemi ambientali – una sfida continua, alla quale dobbiamo continuamente rispondere. Ci ricorda anche come l’acqua non sia solamente una minaccia, ma anche una fonte di opportunità materiali e spirituali. Con l’acqua sosteniamo la produzione degli alimenti ed anche l’energia: l’acqua fa girare le turbine delle centrali idroelettriche, che generano all’incirca il 15% dell’energia elettrica prodotta in Italia. L’acqua ha anche un ruolo fondamentale nella religione e nell’identità di molti popoli. È l’origine del mondo e della vita, è rinascita, è purificazione. La lista è infinita: per i cristiani l’acqua purifica dal peccato originale. Per gli indù, le acque del Gange liberano dal ciclo delle rinascite e per questo milioni di pellegrini gettano le ceneri dei loro morti nel fiume e si ritrovano ogni tre anni per il Kumbh Mela, il più grande raduno di persone al mondo. In Nigeria, la orisha Oshun, la regina dei fiumi e delle acque dolci, è la più venerata dagli Yoruba e creatrice degli uomini.

Per confrontare la grande sete ci dovremo ricordare del valore spirituale e non solo economico dell’acqua. Le soluzioni tecnologiche come la dissalazione, che rende potabile l’acqua salata, oppure il riciclo dell’acqua, che permette di riutilizzare le acque di fogna invece di scaricarle, ci permetteranno di aumentare la disponibilità d’acqua. Ma non basteranno a risolvere i conflitti per l’acqua né a raggiungere soluzioni cooperative per la sua gestione. Avremo bisogno di azioni a tutti i livelli, dall’individuale fino all’internazionale, per avere una cura maggiore dell’oro blu, garantire a tutti il diritto all’acqua e condividere la sua enorme capacità di generare valore economico, ma soprattutto ambientale e spirituale.

 

Immagine: Le Cascate Vittoria del fiume Zambesi tra Zambia e Zimbabwe. Crediti: Dmitry Pichugin / Shutterstock.com

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