La riflessione attuale sul rapporto tra lingua, linguaggio e genere socioculturale, cioè tra il sistema di una lingua, il suo uso concreto e l’insieme di comportamenti socialmente attesi, di abitudini, modi di pensare, aspettative, caratteristiche culturali che sono ritenuti propri e distintivi dell’appartenenza a ciascuno dei due sessi, ha una lunga storia alle spalle. Si innesta infatti su quella tra lingua, linguaggio e differenza sessuale che si era aperta in Italia negli anni Ottanta all’interno del dibattito internazionale sui diritti delle donne. La constatazione che la pratica linguistica oscurava la presenza e il ruolo delle donne nella società, mettendo in pericolo la possibilità di realizzare un’effettiva uguaglianza tra donne e uomini, aveva sollevato alcuni interrogativi che la linguistica e la filosofia del linguaggio avrebbero affrontato negli anni successivi: la differenza sessuale è simbolizzata, con modalità da decifrare, all’interno della lingua, oppure la lingua è di per sé neutra, e la differenza emerge solo dall’uso che ne viene fatto? E, soprattutto, la differenza nell’uso della lingua da parte delle donne e nei confronti delle donne è improntata alla parità oppure contribuisce a costruire ruoli sessuali (oggi diremmo di genere) impari?

Già nella Conferenza mondiale sulle Donne del 1985 a Nairobi i diritti umani delle donne e delle bambine erano stati riconosciuti parte inalienabile, integrale e indivisibile dei diritti universali della persona. E la piena e uguale partecipazione delle donne alla vita politica, civile, economica, sociale e culturale a livello nazionale, regionale e internazionale, insieme alla eliminazione di tutte le forme di discriminazione sessuale, erano stati definiti obiettivi prioritari della comunità internazionale. Dieci anni dopo la Conferenza di Pechino, di cui quest’anno si celebrano i 25 anni, aveva introdotto i principi di empowerment e gender mainstreaming affermando come valore universale il principio della pari opportunità tra i generi e della non discriminazione delle donne in ogni settore della vita, pubblica e privata. L’attenzione al linguaggio ne usciva rafforzata dal riconoscimento che molte lingue presentava nou si e abitudini discriminanti in base all’appartenenza sessuale. Ciascuna lingua infatti, si era notato,possiede tracce più o meno evidenti di sessismo linguistico. Ci sono quelle annidate nelle sue pieghe più antiche, come i proverbi, veri e proprio specchi delle singole culture, che travalicano i confini linguistici: it. donna al volante pericolo vagante; ingl. A woman’s advice is never to seek ‘non cercare mai il consiglio di una donna’; fr. De la mer naît le sel et de la femme le mal ‘dal mare viene il sale e dalla donna il male’; ted. Ein Sack voll Flöhe ist leichter zu hüten wie ein Weib ‘È più facile tenere a bada un sacco pieno di pulci che una donna’. Quelle che richiedono una buona capacità di analisi linguistica per essere individuate e delle quali è meno evidente il portato discriminatorio perché si celano vere e proprie regole grammaticali, come la concordanza al maschile di aggettivi, pronomi ecc. se riferiti a donne e a uomini. Ma anche tracce così palesi da far pensare che davvero i/le parlanti non si accorgano di quanto l’uso della lingua rifletta e insieme riveli una concezione patriarcale del mondo: spicca su tutte, in italiano e in molte altre lingue, l’uso di termini che indicano professione o ruolo istituzionale di genere grammaticale maschile anche se riferiti alle donne, con il risultato di farle scomparire dallo scambio comunicativo.

Oggi all’attenzione verso la discriminazione delle donne nel linguaggio in base all’appartenenza sessuale, che riflette la secolare antinomia sesso forte vs sesso debole, si è affiancata quella sulle conseguenze che tale discriminazione ha nei confronti della costruzione del genere femminile (e maschile) e dello sviluppo dell’identità di genere, elemento fondante delle relazioni interpersonali e sociali, e quindi della stessa struttura della società. Si è fatta strada la consapevolezza che la rappresentazione inadeguata della donna nel linguaggio da un lato comporta l’opacizzazione della presenza femminile, la sua scomparsa dall’immaginario individuale e dalla stessa società attiva, e dall’altro contribuisce a costruire un’identità femminile ridotta rispetto alla realtà, priva dei suoi diritti, deprivata delle sue conquiste sociali, politiche culturali. Da qui il riconoscimento, ormai in molti settori della società civile, e anche, sebbene ancora in misura insufficiente, da parte delle istituzioni, che quando si usa la lingua è necessario tener conto anche della funzione che essa riveste per la costruzione dell’identità di genere, e quindi della stessa società. Centinaia di studi hanno setacciato il linguaggio giuridico, medico, educativo, mediatico, sportivo, politico, accademico, istituzionale alla ricerca di usi linguistici inadeguati a rappresentare il genere femminile, e ne hanno sottolineato la funzione discriminante ed esclusiva. Su tutti i social media divampa la discussione sull’uso del “linguaggio di genere”. Ma proprio le accesissime discussioni online rivelano anche un diffuso atteggiamento “benaltrista” e un durissimo zoccolo conservatore di stampo maschilista, posizioni basate entrambe in larga parte sull’ignoranza delle ragioni profonde che da quarant’anni a questa parte spingono a riflettere sul rapporto tra lingua, linguaggio e genere.

Il linguaggio che ci ha consegnato la tradizione, così caratterizzato dall’uso pervasivo del genere grammaticale maschile, riflette e rivela il lungo periodo nel quale le donne non potevano avere il ruolo di soggetto attivo nella società. Oggi si richiede un linguaggio inclusivo, che riconosca e valorizzi le differenze, rappresentando tutti gli aspetti innovativi e peculiari che caratterizzano oggi il genere femminile, e gli altri generi che sfuggono dalla dicotomia binaria ma dei quali alcune minoranze chiedono, a buon diritto, il riconoscimento.

Conoscere la funzione del linguaggio per la costruzione dell’identità di genere e acquisire le competenze che ne permettono un uso responsabile e consapevole si rivela così indispensabile anche per la formazione di una cittadinanza democratica attraverso la formazione di uno spazio pubblico inclusivo, capace di accogliere le differenze di genere senza trasformarle in diversità.

Immagine: Movimento sfocato pedoni che attraversano la strada illuminata dal sole. Crediti: connel / Shutterstock.com

Argomenti

#donne#discriminazione#genere