28 giugno 2020

Per una rigenerazione ambientale dello spazio urbano

 

Gli ultimi mesi hanno influenzato radicalmente il nostro modo di abitare le città, mostrando l’importanza della qualità dell’ambiente in cui viviamo, dei nostri edifici, del quartiere e dello spazio urbano di prossimità. La pandemia ha reso ancora più evidente la criticità di insediamenti che, nel corso del tempo, sono diventati sempre più fragili e poco attrezzati ad affrontare le grandi sfide poste dai cambiamenti climatici, dal dissesto idrogeologico, dall’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, dal diffuso degrado del territorio, del paesaggio e dell’ecosistema.

Questa accresciuta consapevolezza ci impone di trovare modelli alternativi per uscire dalla crisi attuale ed evitare di continuare, come nel passato, a basare il sistema economico e produttivo sullo sfruttamento delle risorse naturali, soprattutto se non rinnovabili e limitate, come il suolo. L’auspicata ripresa, invece, potrebbe partire dalla necessità di rigenerare l’ambiente e il territorio dove abitiamo, dalle grandi città ai piccoli borghi, riutilizzando e riqualificando l’esistente e il patrimonio costruito, puntando sull’elevata qualità ecologica e paesaggistica, sulla tutela della biodiversità, sulla conservazione e sul ripristino degli spazi naturali interni ed esterni alle città, affinché assicurino servizi ecosistemici indispensabili anche al benessere sociale ed economico. Una strategia che, allo stesso tempo, permetterebbe di stimolare e rilanciare l’edilizia di qualità, più orientata alla manutenzione, al recupero, alla rigenerazione e al miglioramento del nostro ambiente di vita.

Non si può, in altri termini, pensare di fondare la ripresa su nuove costruzioni e altro consumo di suolo, stimolando ulteriormente un pericoloso processo, guidato prevalentemente dalla rendita urbana, di progressiva densificazione e saturazione dei preziosi spazi agricoli e naturali residui all’interno delle aree urbane (spesso chiamati “vuoti urbani” per negarne l’importanza ecologica e sociale), che sono essenziali per la qualità della vita dei cittadini, dell’ambiente e del paesaggio, oltre a essere fondamentali per il corretto deflusso delle acque meteoriche, per la mitigazione del rischio idrogeologico, per l’adattamento ai cambiamenti climatici, per il mantenimento della biodiversità.

Nel nostro Paese la maggior parte del consumo di suolo avviene, infatti, in un contesto urbano, sia nelle aree suburbane e nelle vaste periferie dove vi è una maggiore facilità di trasformazione delle aree naturali rimaste incluse e frammentate da un’espansione incontrollata e, spesso, mal governata, sia nelle aree urbane compatte, dove in un solo anno, secondo i dati del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (SNPA) del 2019, abbiamo perso 24 m2 per ogni ettaro di area verde.

Un uso indiscriminato del suolo che compromette la disponibilità di una risorsa scarsa e indispensabile, sostanzialmente non rinnovabile, e contribuisce a far diventare sempre più calde le nostre città, con il fenomeno delle isole di calore e la temperatura estiva delle aree urbane che, nelle città più grandi, raggiunge spesso valori superiori a 2 °C rispetto a quelle rurali. Ma le conseguenze di tali trasformazioni sul nostro fragile territorio sono diverse, con l’aumento delle alluvioni, la riduzione della produzione agricola e della capacità di regolare il clima e i processi naturali, il degrado del paesaggio, la perdita di biodiversità. La riduzione dei servizi ecosistemici impatta, indirettamente, anche sul sistema economico, come ci ricorda la Commissione europea che parla di un aumento dei “costi nascosti”, ovvero non contabilizzati, dovuti alla crescente impermeabilizzazione del suolo. Le stime ISPRA del 2019 evidenziano come il consumo di suolo in Italia degli ultimi sei anni abbia portato a maggiori costi, a causa di servizi ecosistemici non più assicurati da un territorio ormai artificializzato, che sono valutati in oltre i 2 miliardi di euro l’anno.

Occorrerebbe, invece, lavorare da subito sui tessuti urbanizzati, sui piccoli e sui grandi centri, e sanarne le numerose e profonde ferite, dovute a trasformazioni (abusive o legittime) che hanno segnato radicalmente il territorio. Le amministrazioni locali dovrebbero essere incentivate a favorire le buone pratiche di rigenerazione, partendo, ad esempio, dagli spazi pubblici più degradati, anche per dare un segnale importante ai cittadini e agli operatori privati e per stimolare un maggiore orientamento delle politiche territoriali verso la sostenibilità ambientale e la tutela del paesaggio.

Per uscire più forti dalla complessa crisi nella quale ci troviamo non possiamo permetterci di ripartire nella direzione sbagliata, ovvero, riprendendo le parole di papa Francesco «non possiamo illuderci di poter rimanere sani in un mondo malato».

 

Immagine: La Ville de Paris, di Robert Delaunay, Musée d'Art Moderne, Parigi. Crediti: Photograph by Coldcreation. Robert Delaunay / Public domain

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