Ricorrere alle emozioni per spiegare il funzionamento del diritto resta un esercizio ancora piuttosto anticonvenzionale – se non del tutto inconcepibile – nella professione forense. Il diritto internazionale, ovviamente, non fa eccezione. Le considerazioni psicologiche, tuttavia, possono contribuire a disvelare la ratio sottesa a vari fenomeni normativi.

Se è vero che la “legge” trova fondamento in una determinata realtà sociale sottostante e che non è che – e non può che essere – il risultato di un’attività meramente umana, è oltremodo fondato pensare che gli stati emotivi degli uomini influenzino il loro agire sia individuale sia in qualità di membri di un gruppo sociale. Del resto, la maggior parte degli strumenti normativi utilizzati per contrastare il terrorismo è stata adottata in un momento profondamente dominato dalla paura. Allo stesso modo, molti accordi internazionali posti in essere per far fronte al cambiamento climatico sono stati sviluppati sullo sfondo di scenari, attuali e futuri, intessuti di timore.

È facile comprendere come la paura abbia plasmato la risposta normativa al terrorismo internazionale. La minaccia terroristica si è concretizzata, in maniera palese e con portata sconcertante, l'11 settembre del 2001. Due aerei commerciali, dopo essere stati dirottati, si sono schiantati contro le torri del World Trade Center, nel cuore di New York. In meno di due ore, le torri Nord e Sud, composte da 110 piani ciascuna, sono crollate. Poco dopo, la stessa dinamica si è riproposta con un terzo aereo, questa volta scontratosi contro il Pentagono, e un quarto aereo nei campi in Virginia: “incidente” fatale per i passeggeri di entrambi i voli. Quasi 3.000 persone sono state uccise e il doppio ferite, in quello che è stato l'attacco terroristico più esiziale della storia. Le immagini di quel giorno furono trasmesse in tutto il mondo e provocarono incredulità e paura.

Il senso di sgomento e smarrimento si è lentamente trasformato in terrore nei confronti di un pericolo ora identificabile e terribilmente concreto. La reazione del Consiglio di sicurezza dell'ONU (CS) riflette tale clima di paura. La risoluzione 1373, adottata il 28 settembre 2001, è paradigmatica. Il CS si è arrogato in siffatta vicenda il ruolo di legislatore, emanando regole generali e astratte che impongono agli Stati obblighi volti a prevenire e punire reati legati al terrorismo. Con lo stesso atto il CS ha istituito un organo sussidiario, il Comitato Antiterrorismo, al quale è tuttora affidato il compito di vigilare sull'attuazione da parte degli Stati degli obblighi previsti dalla delibera. Nessuna opposizione da parte dell'Assemblea Generale. Molto probabilmente – anzi, è ipotesi più che certa – tale atteggiamento di condiscendenza era dovuto alla diffusa percezione della necessità di un celere riscontro normativo, che fosse di generale applicabilità, in risposta a un pericolo grave e imminente. È lo stato di paura generale a fare da retroscena e a costituire una giustificazione per tali sviluppi normativi.

Analogamente, la paura generata dall'ondata di attentati terroristici a Parigi, nel novembre del 2015, ha suscitato un'immediata azione legislativa, ovvero l'adozione di uno stato di emergenza, che ha derogato a diversi diritti umani. Ancora una volta, la paura sembra essere stata il principale fattore scatenante dell’intervento normativo, nonché scusante per decisioni istintive.

Inoltre, anche la scelta di inquadrare la lotta al terrorismo internazionale – sia in termini giuridici che politici – come una guerra è, certamente, dettata dal terrore. L’uso di un vocabolario bellico e delle categorie giuridiche delle norme operanti in caso di guerra è stato, in parte, determinato dal timore nei confronti di entità fino ad allora sconosciute, oscure, quasi impalpabili e, proprio per questo, terrificanti. Tutto ciò ha avuto un impatto significativo sul processo normativo e su altri importanti sviluppi decisionali.

Gli Stati Uniti posero in essere un pesante attacco militare contro l'Afghanistan e la Francia intensificò la sua partecipazione al bombardamento, adottando l'autodifesa individuale come giustificazione legale per tale uso della forza, uso – salvo specifiche eccezioni – vietato ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite. In termini legislativi, le conseguenze sono evidenti. Gli Stati Uniti, specificamente, hanno impiegato una serie di misure normative indotte, prevalentemente, dalla necessità di reagire a una situazione dall’apparenza guerresca, e, indubbiamente, d’angoscia.

Con tutto ciò, le parole non sono l'unico veicolo di emozioni. Le immagini, le fotografie, i video possono essere utilizzati per enfatizzare la paura, per trasmetterla al corpo sociale. Tra l’altro, è manifesto che l'intervento del CS – ai sensi del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite – sia in Bosnia ed Erzegovina che in Ruanda sia stato indotto dalla forte reazione dell'opinione pubblica mondiale alle immagini spaventose provenienti da entrambi i luoghi.

Parimenti, le paurose rappresentazioni del cambiamento climatico influenzano il processo legislativo, seppur in modo differente. La paura inquadra il problema del cambiamento climatico in un’ottica particolare, sollecitando un'azione forte e urgente. Il quadro giuridico internazionale sui cambiamenti climatici – la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, il Protocollo di Kyoto, l'Accordo di Parigi – è nato dalla (e nella) consapevolezza che le variazioni nel sistema climatico terrestre rappresentano una minaccia, un pericolo immane e imminente. Ogni passo in avanti, in termini di azione normativa e politica, porta con sé un senso di totale inadeguatezza rispetto alla gravità della situazione. La paura contribuisce, in modo determinante, al mutamento del contesto in cui le regole e le politiche tra Stati vengono poste in essere. Il diritto internazionale è costruito come risposta correttiva alle insidie e ai rischi che si temono, è creato in tale stato di paura e ha lo scopo di reagire ad esso.

Anche nel campo della sicurezza alimentare si possono individuare esempi interessanti circa la rilevanza della paura per le attività normative.

Basti pensare alla faida sulla sicurezza alimentare tra Stati Uniti e Unione Europea in relazione agli ormoni della crescita, i quali erano usati già a partire dagli anni ‘50 dagli Stati Uniti nell’allevamento delle mucche. Mentre il governo statunitense, sulla base di prove scientifiche, consente la produzione e il consumo di carne bovina contenente tali ormoni, l'UE è restia ad accettare alimenti progettati in modo innaturale. Nel 1989, l'UE ha vietato l'importazione di carne vaccina trattata con determinati – ed esplicitamente identificati – ormoni della crescita; nel 2003, il divieto è diventato permanente. La preoccupazione dei consumatori è stata presentata dagli organi europei come giustificazione per la misura restrittiva. L’Unione europea ha, invero, sostenuto che la «percezione pubblica di ciò che è pericoloso» dovrebbe essere considerata oltre ai «fattori scientifici» nel giudicare se una misura costituisca una discriminazione e una restrizione dissimulata al commercio internazionale. In risposta, gli Stati Uniti hanno intentato un'azione contro l'UE dinanzi all'Organizzazione mondiale del commercio, sostenendo che il divieto in questione violasse l'accordo sui prodotti sanitari e misure fitosanitarie (SPS) e che costituisse un ostacolo ingiustificato e arbitrario al commercio di questi prodotti.

Gli interventi normativi inseritisi nel caso sopraddetto sono verosimilmente basati su validi rischi scientifici per la salute umana e su questioni di sicurezza alimentare. Tuttavia, è anche vero che la paura ha giocato un ruolo notevole nel foggiare i sentimenti pubblici e nel guidare le posizioni politiche e legali.

Il punto non è stabilire se siffatte rappresentazioni, inserite in contesti di timore generale, siano o meno giustificate, poiché certamente lo sono. Il problema è, piuttosto, sottolineare il ruolo evidente che la paura gioca nel plasmare la nostra percezione dei problemi di sicurezza o correlati al cambiamento climatico o a rischi per la salute. Conseguentemente, la paura influenza il modo in cui il diritto internazionale si sviluppa in risposta alla percezione di queste minacce. Essa ha un impatto sulla prospettiva da cui osserviamo il mondo e, pertanto, ha un influsso sulle decisioni e sul processo legislativo. La paura può diventare la causa o il pretesto per lo sviluppo di alcuni orientamenti e può essere strumentalmente utilizzata per orientare le scelte normative.

E ciò poiché le emozioni non nascono e terminano nella sfera privata degli individui. Possono essere modellate e scaturire dall'interazione del singolo con la comunità nella sua interezza; possono rappresentare ed esprimere esperienze condivise. Il modo in cui si sente la paura e si sperimentano le sue conseguenze sul processo decisionale è una variabile che può essere influenzata da varie circostanze rilevanti nel caso di specie, compresa la predisposizione degli individui e la cultura del gruppo di appartenenza.

Il diritto – di per sé fenomeno sociale – può essere usato come veicolo «per esprimere le risposte collettive della società. In questo ruolo, il diritto serve a rispecchiare, proiettare o in alcuni casi sostenere o amplificare un'emozione che è già presente» (Grossi, 2015).

L'idea che le emozioni siano estranee al processo legislativo e, più in generale, a qualsiasi tipo di processo decisionale, è del tutto illusoria. Ritrarre il diritto come prodotto perfetto, puramente – e, invero, solo astrattamente – razionale è un’operazione semplicistica e non rispondente alla realtà. Non solo le emozioni rivestono un ruolo cruciale nel plasmare la nostra percezione degli eventi e la nostra reazione agli stessi come individui, ma svolgono anche una funzione importante nel determinare le identità sociali e la cultura, nel dare forma a credenze e ad atteggiamenti collettivi.

Il fatto che ci sia una forte compenetrazione tra legge ed emozioni è una verità ineludibile. La paura è parte della vita umana, così come il diritto.

Per saperne di più:

C. R. Sunstein, Il diritto della paura, Bologna: Il Mulino, 2010.

R. Grossi, Understanding Law and Emotion, in «Emotion Review», 7 (2015).

S. A. Bandes, What Roles Do Emotions Play in the Law?, in «Annu. Rev. Law Soc. Sci.», 81 (2012).

Immagine: https://www.pexels.com/it-it/foto/scuro-tunnel-monocromatico-scala-di-grigi-7111734/

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