Può la relazione padri-figli essere decisiva per la riuscita di una rivoluzione? O meglio, abbandonando l’iperbole: in che modo può essere utilizzato per finalità rivoluzionarie il diritto civile, che regola da un punto di vista giuridico quella relazione?

Storicamente le norme civilistiche che più hanno influito sui rapporti intergenerazionali sono quelle relative alla patria potestà e al diritto successorio. La patria potestà è l’esercizio di forme di controllo di vario tipo del padre sui figli (in certi casi al figlio mancava persino la capacità di stipulare contratti senza il consenso del padre). Il diritto successorio, invece, regola le modalità di trasmissione del patrimonio alla morte. In questo ambito la questione di maggiore rilevanza è se i figli siano protetti, in quanto stretti parenti, dalla volontà paterna di diseredarli devolvendo ad altri i propri beni o escludendo soltanto alcuni di essi dalla successione. Anche oggi, mentre in alcuni ordinamenti giuridici c’è totale disponibilità del proprio patrimonio per il de cuius (cioè il defunto della cui eredità si parla), in altri questa disponibilità è limitata ad una quota (appunto la “disponibile”), dovendo il resto per legge essere necessariamente devoluto agli stretti parenti. Il fatto che un figlio riceva, a prescindere da qualsivoglia disposizione testamentaria, una parte considerevole del patrimonio familiare, è un elemento determinante nella caratterizzazione della relazione familiare.

Fatta questa premessa, per provare a rispondere alla domanda con cui ho esordito occorre, senza pretesa di completezza, osservare il tanto ricco quanto complesso laboratorio giuridico costituito dalla Rivoluzione Francese, o meglio dalla serie di ondate rivoluzionarie che si susseguono tra il 1789 e il 1795, fino all’ascesa di Napoleone. Per farlo si seguirà principalmente lo sviluppo ricostruttivo presentato dal Cavanna in Storia del diritto moderno in Europa. Le fonti e il pensiero giuridico (Il volume, Giuffré, Milano, 2005).

Durante la Révolution il diritto civile è oggetto di ripetute discussioni e riforme, in cui questioni meramente tecniche si intrecciano con valutazioni politiche e filosofiche. Come dirà Portalis, il diritto tutto diventa diritto pubblico con un fine prestabilito: la liberazione dell’umanità dalle oppressioni dell’Ancien Régime, per un’era di pace e benessere. Lo strumento per questi fini è quindi la legge: Saint Juste sostiene che «la révolution doit s’arrêter à la perfection du bonheur et de la liberté publique par les lois» (la rivoluzione deve fermarsi alla perfezione della felicità e della libertà pubblica attraverso le leggi). Questa evoluzione legislativa trova una sintesi (parziale)  nell’emanazione del Code Napoléon del 1804.

Tra il 1789 e il Code, si procede per riforme parziali con il Droit Intermédiaire. In che modo era possibile, all’interno di queste riforme, utilizzare il diritto civile e, nello specifico, gli istituti che regolano le relazioni padre-figlio, per rendere la società “adatta” alla rivoluzione? E, in un momento successivo, dopo il terrore e con l’avvento di Napoleone, come si potevano utilizzare gli stessi istituti per dare di nuovo stabilità ad una società divenuta incontrollabile?

Innanzitutto, è necessario dare uno sguardo alla situazione precedente al fatidico 14 luglio 1789. Seguendo sempre il Cavanna, la famiglia dell’Ancien Régime è strutturata in modo fortemente gerarchico, con un ruolo dominante della figura del padre, con implicazioni politiche chiare già a Luigi XII quando, in una dichiarazione regia del 26 novembre 1639, afferma che «la naturelle révérence des enfants envers leurs parents est le lien de légitime obéissance des sujets envers leurs souverains»  (la naturale riverenza dei figli verso i loro genitori è il tramite della legittima obbedienza dei sudditi verso il loro sovrano). Questa riverenza è assicurata principalmente mediante due strumenti: in primo luogo il diritto di incarcerazione del figlio su richiesta del padre; secondariamente la possibilità, per il padre, di diseredare i discendenti.

Tutto ciò non può che cambiare con la Rivoluzione. Merlin de Douai, giurista membro dell’Assemblea nazionale costituente, presenta un progetto di riforma già il 21 Novembre 1790. Lo scopo di questa bozza di riforma è sostanzialmente quello di disciplinare unitariamente le successioni che operano in base a regole diverse nelle varie regioni di Francia, nel rispetto del principio costituzionale di unità del popolo francese, che per Merlin può dirsi realizzato solo e soltanto con un’uniformità anche nelle relazioni private. Nell’ambito di questa modifica, Merlin propone la rimozione di alcune regole retrograde quali quella paterna paternis materna maternis, per la quale alla morte dei genitori senza testamento i beni non si devolvono ai figli ma devono tornare alle famiglie di origine dei coniugi. Alcuni rivoluzionari criticano questa proposta in quanto troppo moderata: tra questi, Mirabeau evidenzia come manchino disposizioni volte ad evitare la disuguaglianza insita nel testamento. Il dibattito prosegue all’interno dell’Assemblea fino all’ipotesi di optare per il principio per cui gli eredi siano in prima battuta determinati dalla legge. La proposta è oggetto di una accesa discussione a partire dal 12 marzo 1791. Vista l’enormità del cambiamento proposto, la riforma arriva ad uno stallo: la rivoluzione non è ancora matura per modifiche così radicali. Mirabeau riesce però a frazionare la riforma e a far votare su alcune questioni separatamente. La prima è quella relativa all’uguaglianza nella divisione delle successioni intestate (cioè quando il de cuius  muoia senza redigere un atto di ultima volontà), e su questo si trova un accordo: i figli devono ricevere tutti quote uguali, nel rispetto del principio dell’articolo 1 della Déclaration des Droits de l'Homme et du Citoyen, relativo all’uguaglianza di tutti i cittadini e quindi anche dei figli.

Successivamente, il dibattito prosegue con riguardo alla libertà testamentaria: il mantenimento di questo principio è compatibile con quello, confermato dalla votazione appena precedente, sull’uguaglianza dei figli? Si può, insomma, permettere che un padre dia tutto il suo patrimonio ad un primogenito, lasciando nell’indigenza un altro suo figlio, citoyen égal? Il dibattito si infiamma e l’assemblea si divide in due posizioni.

Da una parte si sostiene che sia necessario ridurre la possibilità di testare (ossia di devolvere i propri beni tramite testamento), per ragioni sia giuridiche (la proprietà e quindi il diritto di disporre dei propri beni verrebbe meno con la morte della persona) sia politiche. I sostenitori di questa posizione sferrano durissimi attacchi al modello familiare e successorio dell’Ancien Régime. Per Mirabeau, nel discorso postumo letto da Tayllerand il 2 aprile 1791, esiste una contrapposizione tra il dispotismo paterno, e il sentimento e la ragione: la sua proposta è di ridurre a 1/10 la quota disponibile e di vietare che essa sia usata per privilegiare uno dei figli. Per Robespierre, pochi giorni dopo, bisogna far cadere tramite decreto la patria potestà e insieme ad essa la possibilità di derogare all’uguaglianza dei figli nella successione, dal momento che la libertà testamentaria è origine de «ces viles manœuvres et ces lâches artifices par lesquels l’avidité s’efforce de conquérir la prédilection et l’hérédité paternelles» (vili manovre e artifici con cui l'avidità cerca di vincere la predilezione e l’eredità paterne); di «enfants immolés à d’autres enfants» (bambini sacrificati ad altri bambini); della «cruelle opulence d’un frère insultant à l’indigence de son frère» (opulenza crudele di un fratello insultante la povertà del suo fratello). Gli effetti sulla comunità di una situazione del genere sono ben chiari a Robespierre quando egli afferma, nello stesso discorso, che «ce sont les mœurs privées qui sont la base des mœurs publiques» (la morale privata è la base della morale pubblica).

Sull’altra sponda, alcuni membri dell’Assemblea sono favorevoli al mantenimento della libertà di testare come riflessione della patria potestà, istituto fondamentale per la stabilità della società, e come mezzo fondamentale per impedire la divisione delle terre tra eredi (potenzialmente foriera di danni a livello economico).

Alla fine dei lavori, l’Assemblea dispone soltanto che in caso di successione intestata ci debba essere una divisione dell’eredità in quote uguali tra i figli, e proclama che siano da considerare come invalide le disposizioni volte a condizionare la libertà di donatario, erede o legatario e a distoglierlo dai suoi doveri costituzionali di cittadino. Si vuole, insomma, da parte dei rappresentanti, per ora soltanto con roboanti disposizioni di principio, proteggere il giovane figlio patriota dal padre autoritario, che rappresenta il retrogrado ed aristocratico nemico della rivoluzione. E’ già evidente come la rivoluzione voglia portare dalla sua parte la jeunesse, liberandola dalle catene familiari.

Un’evoluzione nella disciplina ha luogo a partire dal settembre 1792, con la Convenzione girondina. Dal punto di vista della patria potestà, si decide di togliere ogni effetto alla stessa al compimento da parte del figlio dei 21 anni ( una legge del 1790 aveva già ridotto al minimo il diritto di incarcerazione). Inoltre, due decreti del 2 settembre e del 14 novembre 1792 proibiscono le sostituzioni fidecommissarie, cioè la possibilità, per il de cuius, di devolvere l’eredità e imporre a chi la riceva di trasmettere alla propria morte i beni a persona indicata dal de cuius stesso (intervento che era stato richiesto, già prima della Presa della Bastiglia, in numerosi Cahiers de doléances). Nonostante i proclami di principio, rimane il problema del testamento e, collegato ad esso, della facoltà di diseredazione.

La soluzione di queste questioni rimaste aperte si trova in incandescenti sedute a partire dal 7 marzo 1793. Jean Augustin Pénières, deputato del centro, propone di far sparire «les testaments faits en haine de la Révolution» (testamenti fatti in odio della Rivoluzione). E’ necessario «détruire tous les moyens dont l'aristocratie se sert pour détacher de la Révolution ses plus ardents apôtres et pour enchaîner des milliers de bras» (distruggere tutti i mezzi utilizzati dall'aristocrazia per staccare dalla Rivoluzione i suoi apostoli più ardenti e per incatenare migliaia di braccia). La questione della gioventù che per paura della diseredazione non abbraccia la rivoluzione è spiegata perfettamente nelle parole di Philippeaux nella stessa seduta: «Il y a cent mille cadets qui attendent cette loi pour voler aux frontières mais la crainte d’être réduits à la misère par l’exhérédation de leurs parents qui n’ont que ce moyen pour se venger de leur patriotisme les empêche de partir» (ci sono centomila cadetti che aspettano questa legge per volare alle frontiere, ma la paura di essere ridotti in miseria dalla diseredazione dei loro genitori, che hanno solo questo mezzo per vendicarsi del loro patriottismo, impedisce loro di partire).

In conclusione di queste animate discussioni la Convenzione accontenta i deputati più estremi con una norma - legge 7-15 marzo 1793 - dalla portata autenticamente rivoluzionaria: la facoltà di disporre dei propri beni per testamento o donazione è abolita. Poiché da questo momento tutte le successioni sono regolate interamente dalla legge, i giovani francesi possono finalmente abbracciare la rivoluzione senza il timore della diseredazione.

Alla Convenzione girondina subentra quella giacobina, e con essa il Terrore. La situazione si infiamma: vengono approvate due estremistiche leggi successorie che sono dichiarate retroattive a partire dal 1789, travolgendo persino le successioni già chiuse. La prima, del 2 novembre 1793, ammette i figli naturali (inclusi quelli nati fuori dal matrimonio) alla successione con parità di diritti, mentre durante l’Ancien Régime questi, i cosiddetti figli “bastardi”, non potevano ereditare. La seconda, la legge del 17 nivôse an II (6 gennaio 1794), facendo una sintesi delle riforme precedenti, rende nulli tutti i testamenti il cui autore sia morto dopo il 14 luglio 1789. All’erede decaduto (visto che il testamento per cui era diventato erede non produce più alcun effetto) si concedono 1/6 o 1/10 dei beni del defunto, a seconda che ci siano o meno figli.

Si porta avanti così l’opera di smantellamento del sistema di potere della famiglia tradizionale. I figli si vogliono educati direttamente dalla patria e al servizio della stessa, senza l’intermediazione pericolosa e reazionaria dei padri. Questa volontà, realizzata per il tramite dell’abolizione della patria potestà e poi della facoltà di testare, è fatta propria dai più grandi attori della Révolution. Danton parla dei suoi discendenti dicendo che «mon fils ne m’appartient pas, il est à la République; c’est à elle à lui dicter ses devoirs pour qu’il la serve bien» (mio figlio non è mio, appartiene alla Repubblica; spetta alla Repubblica dettargli i suoi doveri perché la serva bene). Robespierre afferma che «la patrie a seule le droit d’élever ses enfants; elle ne peut confier ce dépôt à l’orgueil des familles, ni aux préjugés des particuliers, aliments éternels de l’aristocratie et d’un fédéralisme domestique, qui rétrécit les âmes en les isolant, et détruit, avec l’égalité, tous les fondements de l’ordre social» (solo la patria ha il diritto di educare i suoi figli; non può affidare questo tesoro all'orgoglio delle famiglie, né ai pregiudizi degli individui, eterno nutrimento dell'aristocrazia e di un federalismo domestico che restringe le anime isolandole e distrugge, con l'uguaglianza, tutte le basi dell'ordine sociale). Mentre l’ordine sociale monarchico, come enunciato nella dichiarazione regia, necessitava di una famiglia organizzata in modo gerarchico, al contrario l’ordre social della Rivoluzione necessita di figli liberi dalle catene paterne.

In seguito al Terrore, tutto cambia con il colpo di stato di Termidoro (27 luglio 1794) e il progressivo avvento dell’impero. Dopo gli eccessi rivoluzionari, si vuole infatti che la situazione interna torni pacifica e ordinata. Questa volontà, che già emerge chiaramente negli ideologi della Convenzione termidoriana, sarà sposata da Bonaparte e dai suoi giuristi.

È proprio nel clima di Termidoro del “ritorno all’ordine” che viene elaborato, con un complesso lavoro redazionale, il codice civile che sarà approvato nel 1804. Come prospetta il Cavanna questa normalizzazione richiede, per la sua effettività, anche la rinascita di quel filtro ritenuto indispensabile per l’ordine sociale che è la famiglia: la relazione tra padri e figli deve tornare ad essere una relazione gerarchica. Vengono in parte confermate alcune novità rivoluzionarie del periodo 89-94: rimane il divorzio, il divieto di diseredazione, il principio di eguaglianza successoria dei figli e il diritto intangibile di costoro ad una quota del patrimonio ereditario (conquiste fondamentali della Rivoluzione). Tuttavia, emergono anche evidenti ritorni al passato. Rinasce in primo luogo la patria potestà, concepita da Portalis (uno degli autori del Code) come “tramite d’autorità tra società e individuo”. Rinasce poi il diritto di incarcerazione e viene prevista l’autorizzazione dei genitori per il matrimonio del figlio che abbia meno di 25 anni.

Ricompare, infine, il testamento, con cui è possibile disporre di una quota del proprio patrimonio. Essa non è molto differente dal punto di vista quantitativo rispetto alla quota disponibile del codice civile italiano attualmente in vigore, ed è di 1/2, 1/3 e 1/4 a seconda che alla successione concorrano uno, due o più figli legittimi. I redattori stessi del Code sostengono che attraverso la cospicua quota disponibile i padri possano premiare i figli che praticano le virtù domestiche e punire quelli snaturati (proprio quei figli che la rivoluzione vedeva come i propri adepti). Il testamento per gli ideologi del Code rientra in un disegno di valorizzazione della famiglia, come fondamento dell’ordine sociale e base della disciplina civile:  la relazione intergenerazionale viene riconfigurata proprio a questi fini.

Tutte le traduzioni sono a opera di chi scrive.

Per saperne di più:

Adriano Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa. Le fonti e il pensiero giuridico, II, Giuffré, Milano, 2005

Maria Gigliola di Renzo Villata, Succession Law, Practice and Society in Europe across the centuries, Springer, Milano, 2018

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