Nina sull'argine (minimum fax, 2021) è un romanzo “fluviale”: di matematiche e calcoli per domare un corso d’acqua che può causare danno, di fiumi di sentimenti, di flussi di vite sul letto del lavoro. In uno stile che riflette questa condizione, presentandosi “acquatico” e sospeso, Veronica Galletta costruisce una storia in cui i fiumi del romanzo - quello concreto, reale, e quello metaforico dei personaggi - vivono in rapporto ad argini a loro volta fisici e intimi. Caterina “Nina” Formica, la protagonista, è un’ingegnera al suo primo incarico fuori dagli uffici e dalle carte: nell’immaginario abitato di Spina, attraversato da un fiume, è necessario costruire un argine. Nell’intraprendere l’incarico, Nina scopre la fatica, il fango, il sudore del cantiere, il quale diventa metafora anche della sua intimità e vita privata di cui cerca di tenere insieme i pezzi che vanno sgretolandosi.
Come scrive Gianluca Lioni, che ha presentato il romanzo al Premio Strega, «fra le pieghe di un’umanità fatta di politiche contrastanti, ruoli da mantenere, tematiche spinose e abitudini da scardinare, […] Nina scava e riemerge, distrugge e assembla, cercando quell’equilibrio indispensabile per portare a termine un progetto, nel lavoro come nella vita».
Veronica Galletta è l'undicesima ospite della nostra rubrica L'ora dello Strega, una serie di conversazioni settimanali incentrate sui dodici libri candidati alla LXXVI edizione del Premio.
Lucia Copparoni: La proclamazione della cinquina è alle porte: come sta vivendo l'esperienza del Premio Strega?
Veronica Galletta: Con molta curiosità. In questi mesi sono stati organizzati diversi incontri con il pubblico, che mi hanno permesso di conoscere meglio il mio lavoro, e anche gli altri candidati. Parlare di libri, di film, di serie. Perché questo fanno gli scrittori quando si incontrano: alla fine parlano sempre di libri.
LC: Nina, la protagonista, è una donna volenterosa, a volte insicura, riflessiva, di mestiere ingegnera. Come è nato questo personaggio? Qual è il fascino profondo che l’ha condotta a raccontare l'ingegneria fluviale?
VG: Il personaggio, e quindi il racconto che ne deriva, è nato da un desiderio doppio. Da una parte quella di raccontare la complessità di un certo tipo di lavori, dall’altra l’amore che ho sempre avuto per l’idraulica e l’ingegneria fluviale, il cui fascino principale è rappresentato dalla polisemanticità della parola singola (argine, pressione, depressione), ma anche dalla possibilità di raccontare il mondo delle relazioni e dei sentimenti, facendosi metafora.
LC: Leggendo, si ha la sensazione che l'argine presentato già dal titolo assuma rilevanza non solo fisica, ma anche metaforica. Assocerebbe il tema della solitudine - ugualmente molto presente nel romanzo - a questa doppia natura dell’argine?
VG: L’argine per sua caratteristica intrinseca protegge, ma separa. Mette al riparo, ma toglie la visuale sul resto. Quindi sì, può rappresentare bene la solitudine, forse più di tutto quella autoimposta, in cui ci si struttura barricandosi. Per questo per la mia protagonista, per il suo mondo più intimo, che è rappresentato da Nina - il suo nomignolo -, io immagino una posizione diversa. Sull’argine, a cavallo fra i due mondi, già a partire dal titolo.
LC: Nina sull'argine è anche un romanzo sul lavoro e sulla solitudine del lavoro, sull'orgoglio e sulla frustrazione che esso provoca, e non ultimo anche sulle morti bianche. Come ha trovato la misura nell'offrire la domanda "che cos'è il lavoro" schivando denuncia, polemica o, dall'altro lato, apologia?
VG: Non so se ho trovato la giusta misura. Non posso avere, come autrice, un controllo così preciso sul mio lavoro, ed è un bene, perché la letteratura sta in quello che ci sfugge, negli interstizi dei giri di frase, nei paragrafi scritti di getto, negli aggettivi che non controlliamo. Però l’ho cercata, questo è vero. E per cercarla mi sono affidata alla matericità del cantiere, al racconto quanto più possibile in purezza della costruzione di un’opera, senza mai pensare a metafore o messaggi. Solo, raccontare. Caterina in questo senso è la protagonista perfetta, perché il suo essere riottosa, fuori posto, antieroica, la tiene lontana dalla retorica.
LC: Più volte ricorrono, nel corso della narrazione e degli incontri tra i personaggi, scontri e scenari più che quotidiani sulle problematiche di genere - un aspetto più che rilevante dell’attuale riflessione sul mondo del lavoro in Italia, e non solo. In Caterina può essere inteso un modello di come una donna si trovi ad affrontare un ambiente lavorativo ancora a predominanza maschile?
VG: Non credo che esistano modelli perseguibili, in nessun tipo di contesto lavorativo o umano. I lavori li fanno le relazioni, e le persone. Caterina cerca un suo modo, legato al suo carattere e alla sua personalità. Usa la sua capacità di osservare, per decidere quando spingere, e quando arretrare. Impara nel corso del racconto ad affinare sempre più un suo modo, un suo stile. Ma in ogni caso non è l’unica parte in gioco, il romanzo in questo senso voleva essere un racconto corale.
LC: In più occasioni ha descritto Nina associandola alla metafora della "porta". Il romanzo stesso è fatto di soglie, porte, passaggi. Cosa l’ha spinta a dare centralità a queste metafore?
VG: Come dicevo nella domanda precedente, volevo scrivere un romanzo corale. Caterina è in questo senso una porta, perché è quella che ha permesso a me - che condivido con lei formazione e parte di esperienza - di entrare, e offrire il suo sguardo sul microcosmo che volevo raccontare ai lettori. Poi siccome la scrittura, come dicevo anche prima, sfugge anche a chi scrive, ne è venuto fuori un libro di soglie. Una porta è quella che chiede la signora Bola per l’argine davanti a casa sua, uno scavo - e quindi una porta per gli inferi - è quello dove è costretto Antonio, soglie sono gli animali che Caterina incontra quando passa nella nebbia, dietro porte chiuse aspetta che i dirigenti la ricevano. Tutto il cantiere, tutta la storia è il racconto di una soglia, quella da oltrepassare per diventare adulti.
LC: Per raccontare il mondo dell'ingegneria idraulica ha utilizzato uno stile molto asciutto, quasi a far esso stesso da argine e margine al fiume di parole, sentimenti e situazioni. Ci sono motivazioni specifiche dietro a questa scelta?
VG: C’era il desiderio di mettere al centro il lavoro e le relazioni sul lavoro, e di raccontare un personaggio che anche nei momenti più difficili, anche con una vita privata e sentimentale che va a rotoli, anche con le difficoltà profonde di chi si sente sempre fuori posto e mai a casa, in ogni caso si alza la mattina e cerca di fare il proprio lavoro. Per raccontare questa storia avevo bisogno di uno stile in sottrazione, fatto di scatti, di agnizioni parziali, in cui la catarsi è desiderata, ma stenta ad arrivare. Si sposta. È anch’essa, forse, una soglia mobile.
Per saperne di più
Veronica Galletta è nata a Siracusa e vive a Livorno. Laureata in ingegneria civile idraulica, ha un dottorato in ingegneria idraulica e ha lavorato quasi vent’anni per un ente pubblico. Ha esordito con il romanzo Le isole di Norman (Italo Svevo Edizioni, 2020), finalista nella XXVIII edizione del Premio Calvino nel 2015, premiato al Premio Campiello Opera Prima 2020, nella cinquina dei finalisti della 5° edizione del Premio Fondazione Megamark 2020 e nella sestina dei finalisti del Premio Wondy di letteratura resiliente 2021.
Ha scritto reportage narrativi contenuti nei volumi collettivi Gli estinti (CTRL magazine, 2021), Circospetti ci muoviamo. Genova 2001: avere vent'anni (effequ, 2021) e Toscana, l'atelier della bestemmia (Les Flaneurs edizioni, 2020). Collabora con il blog di Donne Difettose, dove tiene una rubrica dal titolo L’angolo della matrigna.
Il suo ultimo romanzo Nina sull'argine (minimum fax, 2021) è stato proposto da Gianluca Lioni per la LXXVI edizione del Premio Strega 2022 ed è entrato a far parte della settina dei libri finalisti.